Iscritta all’albo degli avvocati di Trani dal 2006, ha svolto da sempre attività di assistenza e consulenza in
materia di diritto del lavoro, previdenziale e sindacale seguendo aziende italiane e multinazionali.
Ha maturato una consolidata esperienza con specifico riferimento a contratti di assunzione, licenziamenti,
procedure disciplinari, arbitrati e procedure straordinarie.
E’ autrice di manuali, opere monografiche e articoli su riviste scientifiche nazionali, oltre che vincitrice di
premi nazionali letterari.
Nonostante sia ormai ultradecennale la normativa che ha introdotto la responsabilità amministrativa del datore di lavoro ex D.Lgs. 231/2001 per omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, ancora troppo spesso si leggono pronunce giurisprudenziali di condanna di aziende che non hanno adottato misure organizzative utili ad evitare il rischio in questione.
Tra le più recenti si richiama la sentenza n. 39713 del 27 settembre 2019 con cui la Corte di Cassazione penale condanna il datore di lavoro - ex D.Lgs. 231/2001 – per il reato di lesioni personali colpose gravi con violazione della disciplina antinfortunistica ex art. 590 c. 3, c.p.
La pronuncia - in sé stessa non particolarmente innovativa - appare tuttavia utile a rammentare l’importanza dell’adozione di un modello organizzativo, di un codice etico e di un codice disciplinare tagliati su misura rispetto alle esigenze aziendali, in considerazione del fatto che i criteri di imputazione oggettiva del reato all’ente consistenti nell’”interesse” e nel “vantaggio” (richiesti dall’art. 5 del decreto legislativo 231/2001 affinché si possa configurare la responsabilità amministrativa dell’ente) possono essere dall’organo giudicante rinvenuti anche nel risparmio sui costi della sicurezza o – quel che è più grave – in concetti aleatori come “il disinteresse aziendale per il tema della sicurezza sul lavoro”.