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La disciplina delle pratiche commerciali scorrette è contenuta nel Titolo Terzo della Parte II del Codice del consumo, all’art. 18 e seguenti. Rientra nella definizione di pratica scorretta qualsiasi azione, omissione, condotta, dichiarazione o comunicazione commerciale (ivi compresa la pubblicità diffusa con qualsiasi mezzo), tesa alla promozione, alla vendita o alla fornitura di beni o servizi a consumatori o microimprese.
In termini generali, si possono distinguere le pratiche commerciali scorrette ingannevoli (artt. 21 e 22) da quelle aggressive (artt. 24 e 25). Tra di esse, il Codice individua una serie di pratiche – c.d. Black Lists – che sono considerate “in ogni caso” ingannevoli (art. 23) e aggressive (art. 26). La normativa sulle pratiche scorrette trova applicazione esclusivamente ai rapporti tra professionisti e consumatori, intesi quali persone fisiche che agiscono per fini estranei alla loro attività commerciale, industriale, artigianale o professionale.
L’autorità deputata a sanzionare le condotte dei professionisti che integrino una pratica commerciale scorretta è l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm). Esistono poi numerosi esempi di discipline settoriali (energia, assicurazioni, banche, telecomunicazioni, trasporti) che contengono previsioni a tutela dei consumatori / utenti analoghe a quelle generali contenute nel Codice del Consumo, la cui applicazione è demandata alle rispettive autorità.
L’obiettivo del legislatore è quello di tutelare la libertà del consumatore di fare scelte di consumo consapevoli e pienamente informate. Perché vi sia una violazione del Codice del Consumo non è necessario dimostrare che un consumatore sia stato effettivamente ingannato dalla pratica commerciale in esame, né che fosse intenzione del professionista ingannarlo.
La repressione delle pratiche commerciali scorrette è assurta agli onori della cronaca nel contesto della drammatica emergenza sanitaria che l’Italia ha affrontato a causa della pandemia da COVID-19, in quanto l’Autorità ha ritenuto di dover intervenire nei confronti di vari professionisti accusati di fare indebita leva sulla ipersensibilità del pubblico, principalmente tramite piattaforme online. In altri termini, si è inteso contrastare lo sfruttamento della pandemia da parte di alcune piattaforme di e-commerce per influenzare i consumatori, la cui capacità di valutazione risultava già alterata, ad assumere decisioni commerciali che, altrimenti, non avrebbero preso.
Sulla scorta della “posizione comune” pubblicata dal Consumer Protection Cooperation Network (la rete europea di cooperazione tra le autorità nazionali per la protezione dei consumatori) e viste l’eccezionalità del momento nonché la particolare vulnerabilità – soprattutto emotiva – del consumatore medio, l’AGCM ha adottato una linea particolarmente dura nei confronti di tali condotte.
Così, l’Autorità ha stigmatizzato l’aumento vertiginoso dei prezzi di mascherine, prodotti igienizzanti et similia nonché la commercializzazione di dispositivi sanitari, integratori alimentari e farmaci cui venivano attribuiti effetti curativi o di prevenzione dell’infezione da COVID-19.
Nella maggior parte dei casi in cui è intervenuta, l'Autorità ha adottato provvedimenti cautelari con cui ha intimato ai destinatari degli stessi l’immediata sospensione delle rispettive pratiche commerciali, prima ancora di aver effettivamente accertato gli asseriti profili di violazione delle suindicate previsioni. In ogni momento - anche se solitamente all’inizio dell’indagine – l’Agcm può effettuare ispezioni presso le sedi dei professionisti e, più in generale, chiunque sia ritenuto in possesso di documenti utili ai fini dell’istruttoria, solitamente con l’ausilio della Guardia di Finanza.
Le condotte dei professionisti sono state ritenute particolarmente gravi in considerazione della natura dei prodotti reclamizzati; per tale motivo, oltre che ingannevoli, esse sono state ritenute aggressive, in quanto suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori.
Bisogna vedere se a fronte di tali addebiti, l’Autorità sarà disposta ad accettare gli impegni che i professionisti hanno presentato per ottenere la chiusura del procedimento senza accertamento dell’infrazione, con conseguente irrogazione di una sanzione pecuniaria che può arrivare fino al massimo edittale di 5 milioni di euro. Gli impegni sono misure adottate dal professionista al fine di rimuovere i profili di illegittimità della pubblicità o della pratica commerciale individuati dall’Agcm nella comunicazione di avvio del procedimento, e vanno presentati entro il termine di 45 giorni dalla ricezione della comunicazione di avvio del procedimento tramite apposito formulario. Tuttavia, nei casi più gravi, sussiste un interesse pubblico a che le condotte illecite siano sanzionate adeguatamente, per cui appare improbabile che nell’ambito delle indagini in parola l’Autorità adotti un atteggiamento marcatamente clemente.
I professionisti che dovessero essere sanzionati dall’Agcm, oltre a subire un pregiudizio economico, andrebbero incontro al sicuro danno di immagine, nonché ad eventuali azioni risarcitorie da parte degli utenti “ingannati”. Analogamente ad un trend affermatosi negli ultimi anni in materia di antitrust, gli strascichi giudiziali sono sempre più frequenti, con alcune decisioni dell’Agcm che hanno addirittura dato luogo a class action (ad esempio, vedasi le decisioni contro Facebook, Apple e Samsung).
In definitiva, le aziende che desiderino intraprendere iniziative commerciali relative a servizi o prodotti legati in qualche modo all’emergenza COVID dovrebbero sempre effettuare uno screening preventivo per scongiurare eventuali profili di scorrettezza, se del caso con il supporto specialistico di esperti di tutela del consumatore, tenendo presente che la scorrettezza della pratica può riguardare qualunque momento del rapporto di fornitura o di vendita, non solo la pubblicità.
Il presente contributo è stato redatto con la collaborazione di Gennaro d'Andria, Partner presso lo stesso studio.