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La sostenibilità, ormai è assodato, è molto più che una moda o un trend passeggero: si tratta di una vera e propria direttrice di sviluppo necessaria per rispondere a una clientela sempre più attenta e a un quadro normativo sempre più stringente.
La crescente sensibilità dei clienti, delle filiere produttive e delle istituzioni fa sì che avere una reputazione di organizzazione non solo green ma ESG-compliant, e cioè attenta a tutte le componenti della Sostenibilità (inclusa la componente sociale e la governance), costituisca un grande vantaggio competitivo.
Un impegno reale comporta però costi significativi e richiede un cambio di paradigma sostanziale: chiunque non sia disposto a tale commitment di lungo termine tende a imboccare la strada più facile: quella dell’ecologismo di facciata, altrimenti noto come greenwashing.
Cos’è il greenwashing
Il termine greenwashing indica tutte quelle iniziative di comunicazione o di marketing perseguite da aziende, istituzioni, organizzazioni ed enti allo scopo di presentare come sostenibili attività che in realtà lo sono poco. Si tratta spesso piuttosto di iniziative superficiali, poco sistemiche e poco radicate. Talvolta simili messaggi hanno anche lo scopo di distogliere l'attenzione da dinamiche aziendali che creano impatti negativi.
Tale comunicazione non veritiera può però generare un ritorno negativo sull’organizzazione stessa, con conseguenze quali:
- Perdita di fiducia del cliente;
- Danni alla reputazione;
- Sanzioni legali;
- Danni alla competitività e relativa perdita di quote di mercato e di fatturato.
Greenwashed.net: un progetto per combattere la disinformazione
Il problema viene esacerbato dall’incapacità delle istituzioni di stabilire una tassonomia basata su evidenze scientifiche che permetta di valutare in maniera oggettiva l’impatto sull’ambiente degli investimenti. Ne è un esempio la Tassonomia UE, entrata in vigore il 1° gennaio 2023 quale “guida agli investimenti green”, che ha incluso tra le fonti energetiche sostenibili anche il gas e il nucleare, cedendo alle lobby e ignorando il parere fortemente contrario della Piattaforma sulla Finanza Sostenibile (PFS).
Proprio in risposta alla scelta delle istituzioni europee, Legambiente, WWF e altre no profit – unite nell’Observatory against Greenwashing – hanno deciso di dar vita a greenwashed.net: un progetto indipendente che si nutre delle pubblicazioni, della letteratura scientifica e del giornalismo d'inchiesta prodotti da un network di enti e privati esclusivamente no profit e propone criteri alternativi per la misurazione della sostenibilità ambientale.
Greenwashed.net è, infatti, uno strumento digitale pensato per imprese, investitori e assicuratori che vogliano misurare l’impronta reale delle proprie azioni, secondo un metodo science-based e libero dall’influenza delle lobby. Nella sua prima versione, si basa su una valutazione preliminare della tassonomia UE da parte di un Gruppo di Esperti Tecnici (TEG). Tale tassonomia verrà gradualmente ampliata, attraverso un lavoro costante di analisi da parte del TEG, con l'obiettivo di classificare tutte le attività economiche.
La finalità ultima è, secondo i suoi ideatori, «riuscire laddove la Tassonomia ufficiale ha fallito» grazie alla creazione di criteri rigorosi che le istituzioni finanziarie potranno utilizzare per distinguere correttamente e chiaramente tra ciò che è verde e ciò che non lo è. Il sistema – detto a semaforo – è particolarmente intuitivo:
- il colore verde starà a indicare le attività sostenibili;
- l’arancione includerà le attività che operano tra livelli di prestazione significativamente dannosi e contributi rilevanti;
- il rosso, le attività dannose.
I criteri verranno aggiornati ogni 3-5 anni per adeguarsi agli eventuali nuovi sviluppi tecnologici, scientifici e legislativi.
Dunque si tratta di un'iniziativa particolarmente lodevole e utile a fare chiarezza in un contesto complesso e delicato, non solo a beneficio di imprese e attività economiche ma anche dei consumatori.