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Prima grandi studi legali internazionali, poi la responsabilità dei servizi legali di Sorgenia: quali sono le ragioni del cambio di rotta?
In realtà non lo considero un cambio di rotta. Penso che lo studio legale e l’azienda siano due ambienti dove poter sviluppare in egual misura la propria professionalità legale. Gli studi legali mi hanno offerto la possibilità di accrescere le competenze tecniche e mi hanno insegnato la cura e l’attenzione verso il cliente e trasmesso l’ambizione all’eccellenza; l’azienda mi consente di mettere tutto questo al servizio di un progetto comune di cui mi sento parte. Nel mio caso, quindi, la formazione forense è stata propedeutica al poter offrire assistenza legale in azienda, ma non lo considererei necessariamente un percorso a senso unico: sono convinta, infatti, della complementarietà delle due esperienze professionali e penso che le differenze tra i due mondi si ridurranno sempre di più.
Quanto sono determinanti le esperienze all'estero in un percorso formativo e di carriera?
Sono convinta che le esperienze all’estero possano fortificare la personalità e la professionalità sotto molteplici punti di vista: comprensione di culture sociali e lavorative differenti dalla propria, sviluppo della capacità di adattamento a nuovi contesti, e arricchimento delle proprie idee e conoscenze. Tutto questo può rendere un professionista più maturo e predisposto alle continue sfide che il lavoro richiede. Per rispondere, quindi, credo che le esperienze all’estero siano determinanti per la formazione professionale, ma penso altresì che non sia in alcun modo penalizzante non avere avuto tali opportunità, soprattutto se le esperienze scelte e vissute in Italia abbiano sviluppato analoghe capacità di miglioramento continuo.
Ci racconti come ha vissuto l’esame da avvocato e cosa si aspettava dalla sua carriera ottenuto il titolo. È andata come immaginava?
Ho scelto di fare l’avvocato in quinta elementare, tuttora non so sulla base di quali elementi. Anni dopo ho capito che sarebbe stato necessario iscrivermi a giurisprudenza, fare la pratica e passare l’esame di Stato. Quando ho sostenuto l’esame a Milano avevo messo in conto che avrei potuto non farcela, ma sapevo che l’avrei rifatto ogni anno fino a passarlo. Dopo le prove scritte ero meno delusa di quando mi esercitavo a scrivere i pareri a casa per prepararmi. Dopo l’esame orale sono invece rientrata nell’aula della Corte d’Appello assolutamente rassegnata, preoccupata di non aver risposto al meglio. Quando mi hanno chiamato “collega” ho vissuto la realizzazione di un sogno lungo 17 anni. Tutto questo penso sviluppi la tenacia nel perseguire un obiettivo, e la convinzione che “ce la posso fare”. Mi aspettavo questo dalla mia carriera, di farcela, sempre e comunque, a raggiungere i miei obiettivi. Il più grande obiettivo dopo essere diventata avvocato era quello di diventare un bravo avvocato, a cui si è poi aggiunto negli anni quello di diventare anche un bravo manager legale. Le direi che è andata come immaginavo nella misura in cui, giorno dopo giorno, ci sto ancora provando.
La più grande soddisfazione.
Credo sia una risposta destinata a cambiare nel tempo, il che è un bene perché significa che in ogni fase del nostro percorso abbiamo percepito di aver raggiunto dei traguardi. All’inizio le mie più grandi soddisfazioni erano i momenti in cui riuscivo a fare un ottimo lavoro, a cogliere il punto di una questione ed a proporre una soluzione efficace. Sono stati momenti di grandissima soddisfazione perché vedevo i frutti degli studi e dell’impegno quotidiano. Oggi rispondo che la mia più grande soddisfazione è contribuire a sviluppare la performance di altri professionisti, lavorando così al raggiungimento di un risultato e di una reputazione non solo individuale ma di team.