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La comunicazione del Consiglio Distrettuale di Disciplina della Corte d’Appello di Milano (Lettera Consiglio Distrettuale) si concentra principalmente sulle seguenti circostanze:
- accanto ai post che pubblicizzano l’ottenimento del premio sui social network, vi sono comunicazioni che evidenziano gli incarichi professionali con indicazione dei “nominativi dei clienti e degli avvocati che si sono occupati della pratica”;
- esiste un “rapporto economico” tra le società che pubblicizzano i premi e gli avvocati che li vincono;
- i titoli e premi acquistati “non sono stati oggetto di una valutazione in termini di trasparenza e comunque provengono da soggetti istituzionalmente non abilitati ad una valutazione della capacità professionale” degli avvocati.
L’ipotesi avanzata dal Consiglio è quella della possibile violazione di due norme del Codice Deontologico:
- l’art. 35, comma 8, secondo cui “nelle informazioni al pubblico l’avvocato non deve indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano” e
- l’art. 37 in materia di divieto di accaparramento di clientela.
La missiva si chiude chiedendo di svolgere una verifica generale e preliminare da parte degli Ordini che possa dare indicazioni al Consiglio Distrettuale “sui soggetti e sui colleghi che si avvalgono di questi meccanismi al fine di utilmente iniziare nei loro confronti il procedimento disciplinare”. La questione, insomma, è molto seria.
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La comunicazione sopra sintetizzata ci suggerisce due ordini di considerazioni.
Il primo riguarda il fatto che la prassi conosce comportamenti evidentemente contrari alle previsioni del Codice Deontologico ma da quasi tutti accettati o perlomeno tollerati.
L’indicazione del nominativo dei clienti da parte (o su iniziativa) di avvocati è un fenomeno costante da anni sui social network, sui siti internet, nelle brochure, sui magazine di settore. L’obiettivo dell’avvocato è documentare di aver prestato assistenza legale in favore di operatori primari, legittimandosi di fronte a potenziali nuovi clienti. D’altra parte, anche le imprese possono trarre vantaggio dal sapere che un dato avvocato ha lavorato per un certo cliente: si tratta di un avvocato indirettamente “referenziato” e quindi potenzialmente affidabile per lo svolgimento di un determinato incarico.
Le esigenze delle imprese e quelle dei professionisti sono meritevoli di attenzione ma il canone deontologico è chiaro. Quindi?
A meno di immaginare che la soluzione sia (continuare a) mettere la testa sotto la sabbia ovvero, al contrario, ingaggiare una lotta senza quartiere dividendo il mondo dell’avvocatura -forse senza particolari benefici per nessuno- la situazione può essere di stimolo per cercare una soluzione nuova e ambiziosa. In 4cLegal abbiamo alcune idee che presenteremo all’inizio del nuovo anno.
Il secondo ordine di considerazioni riguarda la credibilità degli awards nel nostro mercato ed emerge dalla notazione -contenuta nella missiva- che si sofferma sull’assenza di trasparenza del procedimento di valutazione che conduce all’assegnazione degli awards e sul fatto che chi attribuisce gli awards non è “istituzionalmente abilitato” alla valutazione delle capacità professionali.
Il tema della trasparenza del procedimento di assegnazione degli awards coglie obiettivamente nel segno. Se un awards ha l’ambizione di individuare le eccellenze del mercato, il processo di assegnazione deve essere chiaro, oggettivo ed esplicito. Questo evita di poter pensare, fondatamente o meno, che i premi vengano assegnati tenendo in considerazione i “rapporti economici” che sussistono tra coloro che assegnano i premi e i premiati (circostanza sottolineata dal Consiglio).
Da approfondire invece lo spunto relativo ai requisiti per essere “istituzionalmente abilitati” a valutare le competenze dei professionisti, tenuto conto del fatto che i premi vengono conferiti avvalendosi anche -seppur con i limiti sopra evidenziati in termini di trasparenza- di commissioni composte da giuristi che rappresentano le aziende clienti.
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Gli awards e i riconoscimenti in genere non possono -a nostro avviso- sostituire un processo di selezione degli avvocati basato sull’acquisizione, sull’analisi e sul confronto di informazioni che riguardano esperienze, competenze, assetti organizzativi, strategie di gestione dell’incarico e costi dell’assistenza legale. Questo è l’approccio manageriale al legal procurement che 4cLegal ha sempre sostenuto attraverso le sue piattaforme di gestione degli albi professionali e dei beauty contest digitali.
Questo non significa che gli awards e i riconoscimenti non possano entrare tra gli elementi oggetto di considerazione nel processo di selezione di un avvocato o di uno studio legale. A patto, però, di essere credibili.