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Alle ore 9 del 27 giugno, l’Aula Nievo di Palazzo del Bo si presenta gremita per un evento destinato a scuotere dalle fondamenta la Scuola di Giurisprudenza italiana. Il caldo torrido (che arriverà ai 41 gradi) non scoraggia una community di accademici, giuristi d’impresa, avvocati, operatori del marketing e studenti che vogliono confrontarsi sul futuro senza pregiudizi, a viso aperto.
Nell’epoca del legal procurement, del marketing legale e dell’intelligenza artificiale, è pensabile che i giuristi vengano formati come si faceva 5, 10 o 20 anni fa? Quanto è importante per il mercato legale la sfida del “reskilling”? Quali prospettive offre oggi la Scuola di Giurisprudenza a un giovane neolaureato?
Questi e molti altri interrogativi ricevono risposte, suggerimenti e osservazioni da alcuni degli opinion leader del mercato legale italiano e internazionale.
Proviamo a sintetizzare i contenuti di maggior interesse emersi nel corso dei lavori.
Legal procurement: un processo aziendale e un asset di sostenibilità
- Oggi i neolaureati ignorano come le imprese private scelgano gli studi legali con cui lavorare. Ignorano, cioè, le logiche di incontro del mercato che rappresenta -nella maggior parte dei casi- il loro futuro. Questa è una carenza formativa su cui riflettere seriamente.
- Premessa la centralità della relazione tra cliente e studio legale, oggi i fattori che influenzano l’“affidamento di un incarico legale” sono molteplici. La vicenda non si esaurisce in una mera scelta fiduciaria ma integra una vera e propria decisione di acquisto dell’impresa, con tutte le connesse implicazioni (si parla di “legal procurement”).
- Il legal procurement è considerato a tutti gli effetti un processo aziendale che si conclude con l’acquisto di un servizio professionale a fronte di un compenso (onorario). Come qualsiasi processo, nelle imprese più strutturate esso è disciplinato da policy interne che raccomandano la tracciabilità degli step che hanno portato alla decisione finale, e quindi -nella specie- alla scelta di un dato studio legale in luogo di un altro e alla determinazione del compenso in una certa misura piuttosto che in un’altra. Il processo deve garantire che venga scelto uno studio con competenze ottimali rispetto alle esigenze dell’impresa e che venga pattuito un compenso di mercato.
- Il giurista d’impresa è un manager e come tale agisce secondo canoni manageriali. Nella scelta di uno studio legale questo significa acquisire adeguate informazioni circa l’offerta di servizi legali disponibile sul mercato, comparare le evidenze raccolte da una pluralità di operatori e scegliere secondo criteri oggettivi. Il beauty contest è funzionale a questo scopo e -nella sua versione online- si colloca nell’ambito di un modello consolidato e “normale” in numerosi settori, ossia il c.d. “marketplace digitale”. La base del modello marketplace risiede nella centralità dell’informazione nelle scelte d’acquisto del cliente. Si tratta di un modello cui prestare attenzione perché soddisfa un bisogno reale di chi acquista servizi legali e non sembra soltanto una “moda” del momento.
- Il legal procurement può diventare materia dei report di “sostenibilità” se viene gestito secondo best practice quali il beauty contest digitale (questo è già accaduto in imprese del settore farmaceutico e del settore energetico). In particolare, il beauty contest digitale è un presidio anticorruzione che realizza i principi della ISO 37001:2016 e come tale contribuisce al miglioramento della governance aziendale. Il legal procurement digitale può quindi essere, per le imprese più attente, un vero e proprio asset.
Marketing e comunicazione dello studio legale: un must da maneggiare con cura
- Non risultano corsi di Giurisprudenza che affrontino in modo strutturale il tema del marketing e della comunicazione dello studio legale (né possono ritenersi eccezioni gli accenni presenti, in chiave negativa, nei corsi di deontologia). Questo significa che i neolaureati in Giurisprudenza non conoscono temi ritenuti centrali da tutti i maggiori studi legali italiani.
- Quasi nessuno oggi dubita che uno studio legale debba fare attività di comunicazione e di marketing. Se uno studio legale è molto competente in un determinato ambito ma non lo sa nessuno… non andrà lontano. Non sono molti però gli studi che hanno un approccio ben organizzato al tema, si tratta generalmente degli studi più strutturati, che spesso hanno al proprio interno manager dedicati a queste aree di attività.
- Prima di scegliere i canali di marketing e comunicazione occorre soffermarsi sul messaggio da veicolare e sull’obiettivo. È necessario analizzare le caratteristiche e i punti di forza dello studio legale ma anche il tipo di cliente che si intende raggiungere. Quindi si elabora il messaggio “giusto” e si scelgono i canali di diffusione più adatti a raggiungere il target di clientela prescelto. Essenziali sono i canali online, a partire da un sito internet ben indicizzato e da Linkedin per arrivare alle piattaforme utilizzate dalle imprese per individuare lo studio legale (marketplace).
- Il giurista d’impresa -è stato confermato- cerca sempre più spesso online informazioni circa le competenze e caratteristiche degli studi legali e dei singoli professionisti. Una presenza online poco curata e sciatta, o anche semplicemente poco efficace, può pregiudicare le chance di ricevimento di un incarico da società che non hanno con lo studio legale un rapporto consolidato. Il messaggio, se si vuole evitare un effetto boomerang, dovrà quindi avere uno stile adeguato e una veste particolarmente meditata.
- La TV, che con il legal talent 4cLegal Academy ha fatto il suo ingresso nel mercato legale italiano, può diventare uno strumento importante per raccontare le professioni legali.
Il mercato legale pubblico: oltre le resistenze
- I neolaureati non vengono formati sulle dinamiche di incontro tra domanda e offerta di servizi legali, nemmeno nel settore pubblico. Gli studenti di Giurisprudenza non conoscono in modo puntuale le norme e i principi applicativi che regolano l’affidamento di incarichi legali da parte di enti pubblici e società partecipate. Altra carenza formativa a mio avviso notevole.
- Gli incarichi giudiziali o quelli stragiudiziali prodromici a un giudizio (es. parere su fattispecie contenziosa) devono essere affidati previo svolgimento di un confronto concorrenziale in sede di affidamento, e questo è affermato testualmente dal Consiglio di Stato (parere 2017/2018), dall’ANAC (linee Guida 12/2018) e dalla Corte dei Conti (svariate pronunce, v. ex multis C. Conti Sez. Reg. di Controllo Emilia-Romagna 144/2018) alla luce degli artt. 4 e 17, comma 1, lett. d) del Codice dei Contratti Pubblici. Confronto concorrenziale non significa gara pubblica e applicazione del regime di affidamento degli appalti, talvolta si fa confusione ad arte: svolgere un confronto concorrenziale significa applicare in modo sostanziale i principi di trasparenza, imparzialità, parità di trattamento, economicità e pubblicità che devono regolare l’affidamento di incarichi legali di patrocinio. Nessuno sostiene che debba trovare applicazione la disciplina della gara pubblica, e questo -tra l’altro- per la riservatezza e la fiduciarietà che caratterizzano in ogni caso la relazione professionale cliente/avvocato.
- Esiste un forte problema reputazionale associato all’affidamento di incarichi legali. Si tratta di prestazioni immateriali che storicamente vengono acquistate su base relazionale, al di fuori di procedure tracciabili che consentano di ricostruire l’iter di scelta e la congruità del costo: un cocktail che può condurre -come leggiamo settimanalmente sui giornali- a inquietanti fenomeni di malaffare. Gli incarichi sono spesso il modo di trasferire risorse finanziarie che costituiscono -almeno in parte- provvista di fattispecie corruttive; in altri casi il conferimento di incarichi è il modo di “ringraziare” qualcuno per un supporto illecito.
- Quanto sopra è alla base del crescente utilizzo di strumenti digitali nell’organizzazione della spesa legale degli operatori pubblici: gli avvocati vengono invitati a iscriversi in elenchi organizzati all’interno di specifiche piattaforme e, dopo l’accreditamento, vengono coinvolti in beauty contest digitali grazie ai quali gli operatori possono disporre di evidenze qualitative ed economiche a supporto di una scelta di affidamento oggettiva. La digitalizzazione realizza efficienza (meno tempo per gestire i processi) e tracciabilità (quello che succede in una piattaforma è automaticamente “registrato”), assicurando un argine alle possibili pressioni della politica nell’affidamento degli incarichi legali.
- I giovani vedono nel confronto concorrenziale un’opportunità per accedere a nuovi clienti pubblici. Se l’affidamento resta diretto e meramente fiduciario -quindi contra legem- chi trae vantaggio sono coloro che hanno già maturato rendite di posizione e relazioni consolidate. La questione evidenzia anche un tema “generazionale” non irrilevante.
La tecnologia: non il futuro ma il presente della professione
- Tecnologia nel mercato legale non vuol dire email, pacchetto Office e processo telematico. Tecnologia nel nostro settore significa che la sede dell’incontro tra domanda e offerta di servizi legali sarà sempre più la rete e le prestazioni legali saranno sempre più spesso erogate da / attraverso l’utilizzo di software e robot. Diciamo “sempre più” perché parliamo di fenomeni già oggi in atto.
- Il rischio degli avvocati è quello del “let’s wait and see”, ricordato da Chrissie Lightfoot nel corso dell’evento. L’attendismo rischia di riservare brutte sorprese. Già oggi l’intelligenza artificiale svolge in modo più veloce, più economico e più standardizzato alcune delle attività tradizionalmente svolte da avvocati: ricerche giuridiche, redazione di pareri, redazione di contratti, due diligence. In questi ambiti, gli avvocati possono diventare designer dei software di intelligenza artificiale e/o asseveratori dell’output tecnologico. In ogni caso devono ritagliarsi un nuovo ruolo perché, prima o poi, quelle prestazioni non richiederanno più persone fisiche.
- Secondo il World Economic Forum, entro il 2022 l’intelligenza artificiale genererà 133 milioni di nuovi posti di lavoro, contro i 75 milioni di posti che verranno invece perduti. Un saldo positivo che chiama però tutti alla grande sfida del “reskilling”, ossia l’aggiornamento delle competenze in linea con le mutate esigenze del mercato. È un tema che riguarda da vicino anche gli avvocati: l’innovazione reca opportunità per chi si adatta. Niente di nuovo dai tempi di Darwin.
- L’innovazione tecnologica non è per tutti. Il legaltech richiede investimenti cospicui e se davvero la tecnologia diventerà un fattore competitivo discriminante è ragionevole immaginare che si verificheranno aggregazioni tra studi legali per raggiungere massa critica sufficiente anche ad assicurare dotazioni adeguate per compiere opportuni investimenti tecnologici (intelligenza artificiale ma anche digitalizzazione dei processi interni con finalità di efficientamento).
- Il giurista non sarà mai un ingegnere, ma sarebbe bene che fin dall’Università iniziasse a studiare come la tecnologia influisce sulle professioni legali. Come dice Richard Susskind, le professioni come le conosciamo oggi non esisteranno più ed è bene cominciare a lavorare da subito sulla fisionomia del giurista del futuro.
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Di una giornata come il Legal Day restano molte cose: energia, carica, ottimismo, voglia di accettare la sfida. L’importante, dal nostro punto di vista, è passare dalle parole dei convegni all’azione. La vera novità è che dal 27 giugno 2019 anche la Scuola di Giurisprudenza è chiamata a fare la sua parte nella costruzione del Mercato Legale 4.0.
L’Italia può essere protagonista, non accampiamo scuse e concentriamoci sul futuro. 4cLegal presente!