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L’acquirente di oggi ambisce alla consapevolezza e all’autonomia nelle proprie scelte di acquisto. Necessita di informazioni per poter decidere nel migliore dei modi ed è ormai storia il successo di business online che hanno fornito risposta a queste esigenze. Si tratta dei c.d. “marketplace digitali”, nei quali l’acquirente può documentarsi e procedere direttamente alla scelta e all’acquisto del bene e/o del servizio di suo interesse, valutando qualità, caratteristiche e costi.
Il principale vantaggio dei marketplace è quello di consentire all’acquirente il confronto tra diverse opzioni e la scelta di quella che fa realmente al caso suo. In assenza di marketplace, il reperimento di informazioni e il confronto tra le alternative di mercato è certamente problematico e la scelta inevitabilmente meno libera. Si usa dire che i marketplace rendono più trasparente il mercato e riducono l’asimmetria informativa che tipicamente divide buyer e seller. Il tema è particolarmente rilevante, come noto, proprio per il mercato legale (Lack of transparency).
Fino al recente passato, l’acquirente di servizi legali non ha avuto buon gioco nel reperire informazioni circa le esperienze e le competenze degli studi professionali, dovendosi perlopiù affidare a “dritte” dei colleghi o a notizie riferite da terzi animati dai più diversi interessi (notizie intermediate, appunto).
Questo paradigma sta smettendo di funzionare e il motivo è che i giuristi di impresa sono a tutti gli effetti dei manager i quali -nello scegliere i loro avvocati e nell’acquistare servizi legali- iniziano a seguire e documentare procedure di selezione competitive e strutturate, senza fidarsi di rumors o presunzioni di eccellenza.
Esperienze, competenze, assetti organizzativi e competitività degli studi professionali sono i driver della scelta, da verificare e tracciare in tutte le più importanti occasioni di acquisto di servizi legali. Difficile giustificare oggi la scelta di uno studio professionale sulla base del buon nome del brand (sono persone in carne e ossa a rendere la prestazione professionale) e le condizioni economiche di un mandato sulla base della prassi seguita fino a quel momento (un certo compenso potrebbe non essere più adeguato o essere diventato eccessivo - il compenso appropriato lo fa il mercato al momento dell’acquisto).
La disintermediazione e il ricorso ai marketplace digitali rispondono proprio alla necessità -anche nel mercato legale- di fare la scelta migliore e, non secondario, di poterla giustificare in qualsiasi momento alla luce dell’interesse dell’azienda. Questi concetti evocano anche un (si fa per dire) nuovo approccio culturale.
Significa voler disporre di informazioni “di prima mano”, applicare nuovi standard di diligenza negli acquisti e verificare per conto proprio quale sia lo studio professionale adatto per un determinato incarico. Significa rifiutare “Principi di Autorità” in un mercato dove ci sono avvocati qualificati che cambiano studio professionale senza per questo smettere di rappresentare un’eccellenza o giovani professionisti che possono offrire al cliente una motivazione in grado -talora e su certe materie- di sostituire l’esperienza con un valore aggiunto più importante. Oppure significa confermare fiducia al brand rinomato, ma a ragion veduta e documentata.
Scegliere la disintermediazione significa in definitiva optare per un nuovo standard culturale. Vale la pena rifletterci sopra.