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All’indomani dell’entrata in vigore della normativa sull’equo compenso avevamo segnalato ai nostri lettori l’importanza delle nuove previsioni, i relativi rischi e anche un possibile approccio operativo (v. editoriale Equo compenso? La soluzione è l'"equo preventivo").
Ebbene a distanza di alcuni mesi risulta a 4cLegal che siano stati avviati contenziosi contro imprese che, nella prospettazione di alcuni avvocati, avrebbero imposto compensi non equi e comunque non conformi alle previsioni dell’art. 19-quaterdecies della l. 172/2017.
Al riguardo ricordiamo che nei rapporti regolati da convenzioni predisposte unilateralmente dall’impresa cliente quando essa è una banca, una compagnia assicurativa o un’impresa non PMI, all’avvocato deve essere garantito un “equo compenso”, inteso come un compenso “proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale e conforme ai parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della Giustizia …”.
I requisiti sono quindi due, e devono essere rispettati congiuntamente: da un lato la “proporzionalità” e dall’altra la “conformità ai parametri ministeriali” contenuti nel DM 55/2014, come recentemente modificato dal DM 37/2018.
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La normativa in commento impatta sui tradizionali assetti di regolamentazione del rapporto impresa / avvocato in ambiti quali, tipicamente, il recupero crediti e il contenzioso ordinario dell’impresa. La rivisitazione che si rende oggi necessaria è molto profonda.
Senza ripetere quanto già ricordato nel primo editoriale sull’argomento, occorre tuttavia richiamare i due approcci operativi da noi ipotizzati: (i) rivedere le convenzioni allineandosi ai parametri ministeriali e provando a individuare un compenso “proporzionato” nel senso sopra ricordato (impresa a dir poco ardua) ovvero (ii) determinare il compenso non già all’interno di una convenzione predisposta unilateralmente e imposta all’avvocato ma tramite recepimento della proposta di onorario che è l’avvocato stesso a formulare (l’approccio dell’“equo preventivo”).
Su questo secondo approccio, che la prassi sta cominciando chiaramente a preferire, è necessario mettere in guardia dai rischi di una compliance “di facciata”, che è poi alla base dei contenziosi di cui abbiamo notizia. Si tratta di un approccio che vorrebbe affrontare i problemi posti dalla normativa attraverso un mero espediente: far risultare la trasmissione della convenzione da parte dell’avvocato e l’accettazione da parte dell’impresa quando invece, nella realtà, la convenzione è stata predisposta dall’impresa stessa.
Ebbene è chiaro che una simile costruzione, se creata ad arte e non espressiva di una dinamica negoziale autentica, rischia facilmente di non avere alcuna tenuta in un eventuale contenzioso instaurato dall’avvocato per ottenere una determinazione dell’equo compenso ai sensi della normativa in argomento.
Se la soluzione è quella -da noi auspicata e promossa- di recepire la proposta di compenso da parte dell’avvocato, allora deve essere creato un contesto serio e credibile. Su questo occorre un approccio professionale e meditato, altrimenti l’autogol… è nell’aria.
Sul tema stiamo lavorando in modo molto soddisfacente con gli operatori e saremo lieti di condividere know-how e soluzioni pratiche.