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Alle radici dell’innovazione
In un mondo semplice, una persona motivata a fare innovazione dovrebbe concentrarsi essenzialmente su quattro aspetti:
- elaborare un’idea che risolve in modo nuovo ed efficace un bisogno del cliente target (vecchio o nuovo);
- attuare un’“execution” ottimale, che trasformi l’idea iniziale in un prodotto o in un servizio che risponde (più che) adeguatamente al bisogno;
- definire un pricing appropriato rispetto ai vantaggi generati al cliente;
- stabilire e attuare un’efficace strategia di go to market.
Ognuno di questi passaggi ne comprende in realtà diverse decine, inclusi i temi chiave del team building e del funding, quest’ultimo quanto mai sfidante in Italia. Ma il vero punto non è questo; il vero punto è il mindset medio italiano.
Se guardiamo all’indice di digitalizzazione Europeo (DESI), scopriamo che il nostro Paese è quart’ultimo in Europa dopo Bulgaria, Grecia e Romania (Link), nonostante da anni si parli di digitalizzazione in modo quasi ossessivo. Quindi?
Quindi esiste un gigantesco “problema culturale”, su cui tutti conveniamo. Ma cosa vuol dire e come si affronta?
Il problema culturale. Un esempio concreto
Viaggiando in lungo e in largo l’Italia per promuovere 4cLegal -da ultimo soprattutto in rete- mi sono fatto l’idea che il “problema culturale” che ostacola l’innovazione si può scomporre in due sotto-problemi:
- la difesa dello status quo e delle rendite di posizione. Ci sono persone che non hanno interesse (anzi hanno un interesse contrario) all’innovazione e, con più o meno franchezza, continuano a ostacolarla;
- l’inerzia intellettuale. Entrare nel discorso che riguarda l’innovazione e provare concretamente a realizzarla costa fatica. La fatica di capire, di sperimentare, di cambiare. Non tutti hanno voglia di farla e il sistema non crea incentivi adeguati per promuovere lo sforzo di aggiornamento delle persone (diremmo “reskilling”) che è premessa per accogliere l’innovazione e per appassionarsi a essa.
Le organizzazioni sono fatte di persone, e in Italia molte persone che hanno ruoli di vertice non hanno interesse o voglia di promuovere il cambiamento, nemmeno se giusto e utile.
Un esempio? L’affidamento degli incarichi giudiziali nella pubblica amministrazione.
Partiamo da tre evidenze:
- tutti sostengono la necessità assoluta di digitalizzare la Pubblica Amministrazione per finalità di trasparenza, tracciabilità ed efficienza;
- in materia di affidamenti, il Presidente dell’ANAC Giuseppe Busia ha affermato che la digitalizzazione “rappresenta il primo elemento di semplificazione su cui investire in chiave Pnrr, ossia Piano nazionale di resistenza e resilienza” (link);
- l’affidamento di incarichi di patrocinio deve avvenire previo esperimento di un effettivo confronto concorrenziale (ormai è pacifico, qui i riferimenti utili).
Se quanto precede è vero -ed è certamente vero- la conclusione dovrebbe essere semplice: gli operatori pubblici dovrebbero affidare incarichi di patrocinio previo esperimento di procedure concorrenziali digitali.
La verità è che 4cLegal è il solo player sul mercato ad aver elaborato una piattaforma e alcuni servizi espressamente dedicati agli operatori pubblici per adeguarsi a questi orientamenti (abbiamo lanciato il c.d. “beauty contest digitale” a partire dal “caso ANAS” nell’ormai lontano 2015, addirittura ante ultimo Codice dei Contratti Pubblici). È un’innovazione importante, apprezzata da tutti i nostri clienti, che va nella direzione delle norme e dei macro-trend del sistema (trasparenza e poi digitalizzazione, digitalizzazione, digitalizzazione).
Ebbene sapete cosa succede nella realtà? Che la maggioranza degli operatori pubblici continua ad affidare gli incarichi di patrocinio in via esclusivamente diretta e fiduciaria, nonostante il Parere del Consiglio di Stato 2017/2018, le Linee Guida 12/2018 di ANAC e la Corte dei Conti in modo univoco ritengano questa pratica -con limitatissime eccezioni- non legittima. La Corte dei Conti va avanti con le sue censure e le sue condanne -v. da ultimo la Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia, n. 10/2020- ma i più provano a “resistere”.
Che ne è quindi dell’innovazione, tutta italiana, rappresentata da una piattaforma di beauty contest digitali che assicura il rispetto delle norme, la trasparenza, la tracciabilità, la concorrenza, l’apertura del mercato, la trasformazione anche in senso valoriale della PA?
La verità è che si fa largo grazie alla combattività delle persone che ci credono e che si scontrano con chi si oppone ostinatamente -e in modo totalmente antistorico- a un cambiamento che è ormai nelle cose: (i) coloro che difendono gli affidamenti diretti perché, semplicemente, ne sono beneficiari e (ii) coloro che non hanno neanche voglia di chiedersi se un cambiamento sarebbe utile (o per la verità dovuto), rischiando un giorno di fare la fine del tacchino di Russell.
Chi fa innovazione in Italia deve affrontare ostacoli che probabilmente in altri Paesi non ci sono. Che poi per 4cLegal questi ostacoli siano soltanto uno straordinario incentivo in più… beh questo è un altro discorso.
La situazione degli avvocati. Note a margine del Rapporto Censis
Il V Rapporto Censis sull’Avvocatura Italiana, svolto per Cassa Forense e presentato il 5 marzo scorso, fotografa una situazione a dir poco preoccupante.
Sette avvocati su dieci definiscono critica la loro situazione lavorativa, con accentuazione delle difficoltà per professioniste donne e per avvocati del sud Italia. Il 61,5% degli avvocati è addirittura ricorso al bonus Covid di marzo e aprile 2020.
Questi dati indicano che gli avvocati sono oggi per la maggior parte in serie difficoltà economiche, e questo proprio in un momento in cui è assolutamente necessario riprogettare il presente e il futuro. Una difficoltà nella difficoltà? Forse si, ma la necessità è una molla motivazionale impareggiabile e gli avvocati possono provare a fare leva anche su questo.
Sempre il Rapporto Censis ci dice che chi si è rivolto a un avvocato nel corso del 2020 -oltre 7,2 milioni di persone- lo ha fatto online nel 48,3% dei casi mentre per il 33,1% attraverso una modalità ibrida, con incontri presso lo studio del professionista e interazioni a distanza. Questo significa che il mondo, per necessità, è cambiato. Possiamo però ragionevolmente ritenere che le nuove modalità di interazione dureranno ancora diverso tempo e, forse, che esse siano già il “new normal”.
Se le relazioni sono e saranno perlopiù online e a distanza, agli avvocati tocca in modo ineludibile la sfida della digitalizzazione: sito internet, marketplace, gestionali, tool per lo smart working (le basi) fino all’intelligenza artificiale e alla blockchain (lo step 2). Per confrontarsi con questi temi serve coraggio, apertura mentale e, in qualche caso, anche qualche investimento. Non è pensabile -per fare un esempio- che vi siano studi legali senza un sito internet. Già oggi, per molti (potenziali) clienti non avere un sito internet è come non esistere.
Di questi temi parleremo il prossimo 12 marzo al primo Festival della Giustizia, organizzato con AIGA e in collaborazione con il Gruppo 24 Ore, nel quale interverranno istituzioni, operatori del diritto e opinion leader del nostro mercato. È un evento da non perdere.
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Chiudiamo con una notizia che può essere di incoraggiamento per tutti noi: per innovare non occorre necessariamente essere dei geni (menomale).
Una risalente ma sempre interessante pubblicazione di Harvard Business Review -The Innovators DNA- ci dice che la capacità di innovare dipende per 1/3 da quella che possiamo chiamare “intelligenza creativa innata” e per 2/3 da skill che possiamo apprendere e praticare in vita.
Il campo dell’innovazione si presenta quindi piuttosto aperto. Il contesto potrebbe non essere dei più favorevoli, ma se ognuno di noi ci prova nel suo campo, sono fiducioso che i risultati potranno essere sorprendenti (per una volta in positivo).