***
Di questi tempi leggo e ascolto di frequente espressioni come “ritorno alla normalità” e “ripresa delle attività”, e la prima domanda è sempre la stessa. Quando? Animati dal desiderio di tornare alla nostra vita di prima, speriamo in aprile, poi confidiamo in maggio, alla fine… vedremo.
Ma cosa sarà la “normalità” di domani? E ha veramente senso parlare di “ritorno” e di “ripresa”, come se dovessimo ritrovarci, presto o tardi, dove eravamo prima?
La situazione sembra diversa dai grandi drammi della nostra storia più recente. Questa pandemia è diversa tanto da una guerra quanto da una “semplice” crisi economica.
La guerra non ci tocca direttamente. Nella nostra esperienza, le guerre riguardano “altri” e hanno luogo in territori troppo lontani per coinvolgerci. Dalla seconda guerra mondiale in poi per l’Italia è stato così, in molti nemmeno sanno cosa sia davvero una guerra (io per primo).
Le crisi economiche ci toccano invece direttamente, ma senza privarci della possibilità di un contatto sociale e di una condivisione umana. Inoltre esse non riguardano mai veramente tutti. Molti di noi hanno attraversato la crisi del 2008 senza vedere eccessivi cambiamenti nelle loro vite, bisogna essere sinceri.
Lo scenario di oggi, invece, è del tutto inedito. Le conseguenze del coronavirus toccano tutti, sono inevitabili e riducono al minimo il contatto sociale, in tutto il mondo. Il virus attacca la salute e insieme l’economia, restando in agguato a tempo indeterminato (fino al vaccino?). È il primo fatto storico che alimenterà in modo indelebile la memoria collettiva della nostra generazione. La memoria di tutti, senza esclusioni.
Il COVID-19 ci proietta, presto o tardi, verso un futuro in cui la normalità sarà diversa da quella che conoscevamo soltanto a gennaio scorso. Sul normale susseguirsi delle vicende e degli sviluppi umani si è abbattuto un meteorite che interrompe il nesso di causalità ordinario tra gli eventi e ci proietta verso una dimensione inesplorata.
Per questo non ha probabilmente senso pensare a un ritorno al passato. Quando le misure di contenimento verranno allentate e via via rimosse, ci troveremo in un mondo diverso da quello che conoscevamo. Ha forse più senso parlare allora di un “ritorno al futuro”, un futuro che in alcuni aspetti possiamo forse già immaginare.
***
Abbiamo toccato con mano che la virtualizzazione dei rapporti umani, già in atto soprattutto per effetto dei social network e dell’e-commerce, può estendere in modo molto importante le sue latitudini e le sue profondità.
Se consideriamo per esempio il mercato legale, ci accorgiamo che esso può proseguire quasi completamente senza contatti fisici grazie al telefono, alla rete, alle piattaforme e ai software.
I professionisti possono promuoversi, entrare in contatto e confrontarsi con i clienti, raccogliere le loro esigenze, esaminare documenti, fare ricerche, scrivere e negoziare contratti, rendere pareri e depositare atti senza alcun contatto fisico con un altro essere umano. Se conoscono la legge applicabile al caso in questione, possono trovarsi ovunque, non fa differenza.
Forse lo sapevamo già, ma oggi siamo stati costretti a toccarlo con mano e a creare nuove prassi di lavoro. Prassi di lavoro “contact free”, o come si dice oggi “agili”, che consentono:
- un oggettivo risparmio di costi, inclusi quelli per gli spostamenti, quelli legati al godimento e alla fruizione di spazi fisici ad uso commerciale (canoni, bollette, manutenzione ecc.) e anche quelli legati all’outfit (quasi nessuno consuma vestiti da lavoro in questi giorni);
- un significativo risparmio di tempi, inclusi ancora una volta quelli per gli spostamenti ma anche quelli dei “convenevoli” (dopo ore passate in audio e/o video conferenza l’interesse verso il più e il meno scende nettamente). Anche per questi motivi, in un giorno si possono fare più audio/video conference che meeting fisici.
Tutto questo è bene? A me non convince se non in presenza di situazioni familiari e/o logistiche peculiari del prestatore di lavoro. Penso che il contatto umano crei valore nel processo ideativo e realizzativo dei progetti e non mi piace l’idea di sacrificare la possibilità di guardarsi negli occhi e stringersi la mano. Ma questo conta poco.
Nonostante il rischio di inaridimento, il ritorno al futuro che ci aspetta sarà inevitabilmente influenzato dalle prassi di questi mesi, oltre che dalla doverosa prudenza che dovremo tutti tenere al rientro. Se pensiamo al nostro mercato legale -ma questo varrà anche per molti altri mercati- possiamo quindi attenderci:
(i) più audio/video conferenze e meno meeting di persona;
(ii) più home working, con conseguente ridefinizione del fabbisogno locativo di molti operatori economici;
(iii) più opportunità di lavoro al di fuori del proprio Comune o della propria Regione, in considerazione dell’affievolirsi del criterio di “prossimità” nella scelta di un professionista;
(iv) più investimenti in tecnologia per poter assicurare continuità di servizio con il cliente ed erogazione digitale dei servizi in modo sicuro ed efficiente (questo, a sua volta, potrà accelerare il processo di aggregazione di piccoli studi professionali con l’obiettivo di raggiungere la massa critica necessaria per pianificare e svolgere gli investimenti).
***
La paura per la salute e le difficoltà economiche ci hanno avvicinato maggiormente ai bisogni primari.
Nonostante le misure di sostegno all’economia, già adottate e future, le persone e le organizzazioni hanno subito e subiranno -con rarissime eccezioni- un forte pregiudizio economico. D’altra parte, la pandemia ci ha fatto toccare con mano la precarietà che caratterizza in generale l’uomo e le sue pianificazioni.
In questa situazione molte organizzazioni hanno capito l'importanza della c.d. “sostenibilità”, qui intesa come partecipazione ai temi della comunità e supporto sociale. La sostenibilità dovrebbe scaturire da sentimenti etici, ma se questi non bastassero oggi sappiamo che supportare la collettività significa anche supportare la domanda di beni e servizi e, in ultima analisi, il business di tutte le imprese.
Le difficoltà economiche hanno anche acuito la prudenza nella spesa. Questa prudenza è dovuta anzitutto a una carenza di liquidità e a una temporanea riduzione dei volumi di business di quasi tutti i settori. Più che di “prudenza” si tratta in questo caso di una ridotta capacità di spesa, ma ad essa si aggiungerà una cautela generalizzata degli imprenditori e dei manager, nella cui mente campeggerà per molto tempo un “fondo per rischi generici” da appostare nell’esercizio (una piccola riserva, non si sa mai).
Se queste considerazioni sono vere, nel nostro mercato potremmo attenderci:
(i) maggior partecipazione delle direzioni legali ai temi della sostenibilità, sia in forma di supporto alle altre funzioni aziendali sia con progetti autonomi;
(ii) maggiore tensione sui budget per i servizi legali e maggior necessità di giustificare le decisioni di spesa;
(iii) affermazione dei professionisti in grado di indicare costi chiari, competitivi e certi (forfetizzati).
A dire il vero sono trend già in atto, che subiranno però a nostro avviso una decisa accelerazione.
***
La grande massa di informazioni disponibili non è necessariamente una ricchezza. In questa situazione ci siamo accorti che le persone hanno bisogno di riferimenti credibili, autorevoli e competenti.
Oggi quello che alimenta la nostra speranza e la nostra fiducia sono scienziati e sanitari competenti, mezzi di informazione che ci mettono al corrente della situazione in modo critico, politici che provano ad affrontare una situazione di complessità mai vista con serietà e dedizione eccezionali.
In questa situazione abbiamo riscoperto -l’ho sentito affermare efficacemente da Walter Veltroni nella trasmissione 8 e ½ su La7- il valore della competenza.
Hanno riacquistato forza i giornali e le testate “storiche”, dalle quali i lettori si aspettano notizie e informazioni vere, vagliate, affidabili. Le fake news sono sempre in agguato ma quando ci informiamo sulla nostra salute comprendiamo ancora di più la pericolosità dei bugiardi della rete e diventiamo intransigenti nella ricerca della verità. I social restano megafoni impareggiabili ma non si può confondere l’efficacia del mezzo con la qualità del contenuto.
Sotto questo profilo, da una situazione tragica può derivare qualcosa di buono. Come utenti di informazioni siamo chiamati a un maggior senso critico e all’individuazione di soggetti che ci dicano come stanno le cose perché possiamo essere noi a farci un’opinione sui fatti.
Difficile trovare un nesso tra questo bisogno di verità e il mercato legale, il passo è lungo. In 4cLegal abbiamo fatto qualche riflessione che ci ha portato a immaginare un nuovo filone editoriale che abbiamo chiamato “4cLegal Fact-Checking”, provate a seguirci e fateci sapere se l’idea Vi convince.