24 Agosto 2022

La soluzione per innovare è davvero la “cultura del fallimento”?

ALESSANDRO RENNA

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Abstract

Sempre più spesso si sollecita in Italia una riflessione su quella che viene definita la “cultura del fallimento”. Il ragionamento è in sostanza il seguente:

• per innovare bisogna sperimentare 

• sperimentare significa spesso sbagliare  

• sbagliare, e quindi fallire, è necessario per poter innovare.

Occorre quindi insegnare che il fallimento è di fatto un male necessario per spingere il progresso, e che chi fallisce non deve essere stigmatizzato.

Affermare questa cultura sarebbe fondamentale per sviluppare in Italia il “sistema” dell’innovazione.

Con questo articolo vorrei promuovere sul tema una riflessione che vada oltre gli slogan e cerchi di contestualizzare quello che viene spesso esaltato come uno dei mantra della Silicon Valley. Inizio con qualche considerazione libera.

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Chi esattamente deve abbracciare la cultura del fallimento?

L’innovazione è sviluppata tipicamente dalle startup innovative. Credo quindi che i beneficiari della cultura del fallimento siano soprattutto gli abitanti di quel mondo.

Ebbene in Italia in media il 90% delle startup fallisce, e tuttavia nel 2018 risultavano iscritte 9.758 startup innovative, nel 2019 ne risultavano 10.882, nel 2020 ne risultavano 12.068 e nel 2021 ben 14.077, con un trend quindi in netta crescita (nonostante il periodo…).

Mi pare di poter dire che se il sistema dell’innovazione in Italia fa fatica a decollare non è perché gli startupper hanno paura delle stimmate del fallimento. Si sa che fallire è la norma, tutti conosciamo persone che hanno dovuto affrontare il fallimento della loro impresa ma nonostante questo ci sono sempre più persone che cercano di fare innovazione.

Come fondatore di business innovativi, sopravvissuto alla fase di startup, mi sento di dire che il fallimento è uno sparring partner sempre sullo sfondo. Mi confronto a distanza con Lui senza poter escludere che in qualche momento me lo troverò davanti.

Sapere che il fallimento può arrivare non mi impedisce però di provare a fare innovazione e non credo che lo impedisca a nessuno dei miei colleghi convinti di quello che stanno facendo. 

Probabilmente la “cultura del fallimento” va abbracciata non tanto dagli imprenditori -che ce l’hanno nel DNA- quanto piuttosto dal sistema degli investitori e finanziatori delle startup.  Chi dovrebbe spingere al massimo l’innovazione in Italia, trattando il rischio di fallimento con più “leggerezza”, sono semmai business angel, venture capital e finanziatori in genere (se ritengono di farlo).

Anche socialmente, trovo difficile pensare che il fallimento sia ancora visto semplicemente come sinonimo di incapacità e incompetenza dell’imprenditore: fare innovazione tra pandemie, guerre, crisi economiche e competitor globali non è una passeggiata. Può andar male anche se ci sono impegno, metodo e competenza, per diversi motivi. Ancora una volta, non credo che noi imprenditori siamo limitati nell’innovare dalla paura di fallire (al massimo ci augureremmo capitali più accessibili e un sistema più favorevole a chi vuole fare impresa, ma questo è un altro discorso).

Dietro a un “fallimento” ci sono delle persone. Cultura del fallimento vs cultura della responsabilità  

La cultura del fallimento mette al centro l’innovazione e il progresso. Che ne è delle persone?

Il fallimento di una startup significa persone licenziate, fornitori che perdono fonti di ricavo, percorsi di vita stravolti. Tutto questo va tenuto in considerazione: si è affermato e si sta rafforzando un nuovo concetto di impresa in un nuovo capitalismo che è quello degli stakeholder. Un’impresa è portatrice di interessi diffusi che fanno capo a dipendenti, fornitori, clienti, comunità territoriali, istituzioni e ovviamente anche soci. Il suo obiettivo deve essere di lungo termine e deve rappresentare un contemperamento tra interessi dei soci e interessi degli altri stakeholder. Questo è uno dei portati della Sostenibilità.

In questo contesto occorre a mio avviso allontanare l’idea che la cultura del fallimento possa giustificare all-in spregiudicati perché  finalizzati a, o in qualche modo addirittura necessari per, l’ “Innovazione”. 

Dietro i fallimenti, torniamo a dire, ci sono persone. L’imprenditore ha una responsabilità importante e la deve affrontare con equilibrio ben sapendo che rappresenta una comunità di persone che va ben oltre sé stesso.

È chiaro che l’imprenditore deve rischiare (per definizione) ed è costantemente esposto al rischio di fallire (per necessità), ma è altrettanto chiaro che le sue scelte devono contemperare interessi diffusi e il mito dell’innovazione non deve farci diventare meno umani.

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Penso che mentre sosteniamo la cultura del fallimento -che, ne sono convinto, ha in sé un messaggio importante, soprattutto nei confronti degli investitori e dei finanziatori di business innovativi- dobbiamo ancor più e maggiormente sostenere e promuovere una Cultura della Responsabilità del fare Impresa. Una Cultura che affonda le sue radici proprio nella Sostenibilità e in un nuovo concetto di mercato.

 

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