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Gli immobili familiari
Un recente studio statistico del Notariato ha rilevato come nel primo semestre 2019 le donazioni immobiliari siano in crescita rispetto all’anno precedente. Il tema della donazione dei beni immobili e, soprattutto, i connessi problemi legati alla loro (libera) circolazione sono dunque sempre attuali.
È noto che in Italia, il mercato immobiliare vede una domanda da parte del cittadino medio – ma non solo – composta anche da richieste speculative o di investimento in vista di tempi futuri. L’investimento nel mattone fa tradizionalmente parte del bagaglio culturale italiano, pur con la flessione conseguente alla crisi degli anni recenti. Al netto della marginalità di profitto, che ultimamente si è assottigliata, questi beni non necessari immediatamente al soddisfacimento dei bisogni della famiglia hanno posto e continuano a porre ancora oggi una serie di problematiche che, come anticipato, riguardano anzitutto la loro circolazione sul mercato.
A fronte di patrimoni immobiliari familiari frastagliati e famiglie abbastanza numerose, si è soliti assistere al sorgere di problemi in merito alla destinazione di tali immobili allorquando l’intestatario è ad esempio ormai anziano o non necessita più della rendita relativa. Se da ciò sorge il bisogno di cedere la proprietà degli immobili-investimento, allo stesso tempo vi è spesso il vincolo affettivo di mantenere i beni all’interno del perimetro della famiglia. Lo schema tipico è quello che vede il genitore, ormai ritiratosi in pensione, cedere ai figli gli immobili, cosicché gli stessi ne possano trarre beneficio, anche speculativo.
È fatto notorio che tale schema viene seguito anche per anticipare l’apertura dell’eredità del titolare del bene. Lo studio del Notariato citato in apertura riporta infatti che la maggior parte dei donanti ha più di 55 anni, mentre la maggior parte dei donatari ha tra i 18 e i 55 anni. Questi dati, pur ad una lettura superficiale, possono confermare la ripetuta applicazione dello schema menzionato. È infatti evidente che se lo scopo è quello di trasmettere la ricchezza e al contempo di mantenerla all’interno della famiglia, lo strumento principe per raggiungerlo è la donazione.
La donazione permette infatti la trasmissione della titolarità del bene, esentando il ricevente dal relativo esborso economico. Tuttavia, può porre anche complicati problemi, quantomeno potenziali. Invero, le donazioni hanno quale corollario le possibili ripercussioni in termini di diritti ereditari potenzialmente lesi.
Le problematiche della donazione
Sui beni del donante, una volta deceduto, si apre la successione, ma i legittimari, ossia quegli eredi cui la Legge attribuisce particolari posizione e tutela in termini di quota ereditaria intangibile (id est, coniuge, figli e ascendenti), possono beneficiare di varie azioni per vedere ricostituita tale quota qualora sia stata lesa. La principale – almeno in questa sede – è l’azione di restituzione, ossia quella che ha ad oggetto per l’appunto la restituzione del bene dopo il vittorioso esperimento dell’azione di riduzione della donazione lesiva della legittima. Quest’azione è esperibile anche contro gli aventi causa del donatario.
La donazione di beni immobili è forse il caso principe che conduce ad una lesione della quota di legittima. Si pensi al caso di beni donati dal genitore ad un figlio, ove un altro figlio si trovi poi, all’apertura della successione, con un asse ereditario vuoto. Questo figlio pretermesso potrebbe quindi agire per veder ristabilita la propria quota ereditaria contro il fratello (ma anche con effetti verso i terzi), andando a colpire proprio le donazioni.
In conseguenza di tale possibilità, il bene donato rischia di rimanere giuridicamente bloccato sino all’esito del processo. Inoltre, poiché tali azioni a favore degli eredi lesi nella loro quota hanno termini di prescrizione molto ampi, per il relativo periodo permane incertezza sulla loro sorte. Sulla scorta delle regole relative all’opponibilità ai terzi degli acquisiti di immobili, anche la sola incertezza che la donazione possa essere caducata impedisce la stabilità dell’acquisto da parte del donatario, che quindi non potrà liquidare il bene stesso. Una persona di media avvedutezza, infatti, non procederebbe all’acquisto di un bene se vi è il rischio che possa perderlo improvvisamente. Inoltre, le banche sono molto restie a concedere mutui per la compravendita ove la relativa garanzia ipotecaria sul bene in precedenza donato potrebbe venire meno. Conseguentemente, il bene resta bloccato nel patrimonio del donatario.
Il superamento della incommerciabilità
La diffusione dello schema donativo citato e il ripercuotersi dell’incommerciabilità sul mercato hanno indotto il Legislatore ad intervenire nella materia, apportando delle modifiche agli articoli che regolamentano l’azione di restituzione, al fine di limitarne la portata temporale. In estrema sintesi, decorsi vent’anni dalla trascrizione della donazione, le ipoteche iscritte sono opponibili all’azione di riduzione, e, se trascritta dieci anni dopo l’apertura della successione, questa non può pregiudicare i terzi acquirenti a titolo oneroso con atto anteriore a tale trascrizione. L’azione di restituzione inoltre non può essere esperita contro gli aventi causa del donatario se sono decorsi vent’anni dalla donazione.
Tale intervento legislativo ha il pregio di aver reso più liquiditi i beni di provenienza donativa, pur contemperando le opposte esigenze in gioco. Questa esigenza è stata valorizzata anche dalla Dottrina e dalla Giurisprudenza più recenti, che hanno in qualche modo sugellato la spinta liberalizzatrice del Legislatore. Merita infatti di essere ricordato come negli ultimi anni si stia diffondendo la linea di pensiero che vede possibile e lecito ottenere la rinuncia all’azione di restituzione da parte dei potenziali eredi pretermessi, allorquando il donante sia ancora in vita. Inoltre, è stata riconosciuta la possibilità di annotare a margine dell’atto di donazione tale rinuncia (previa ricezione della stessa da parte di un Notaio, in questo caso), così da renderla agilmente reperibile da parte dei futuri acquirenti. In questo modo, avendo il consenso di tutte le parti in causa, anche i beni donati possono essere liberamente commercializzati.