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Il commento
Il punto nodale della sentenza (che per questo assume un valore di carattere sistematico) consiste nella affermazione secondo cui sono proprio i compensi che l’Amministratore (anche socio) avrebbe determinato per se stesso e quindi che avrebbe percepito, l’elemento che provocava (rectius aggravava) una perdita della società.
Questo modo di agire avrebbe portato al fallimento della impresa e alla conseguente impossibilità di pagare i creditori secondo un corretto principio (in sostanza il denaro era stato usato per intero per pagare il compenso dell’Amministratore).
La Cassazione boccia giustamente il ricorso dell’imputato asserendo con chiarezza che l’Amministratore che sia anche creditore incorre nel reato di bancarotta fraudolenta quando si appropria di somme della società, questo anche a titolo di compenso per il ruolo che svolge, quando, al momento della apprensione delle somme stesse, “esistono ravvisabili chiari segnali di allarme circa la grave crisi finanziaria della società”.
E’ corretto dire che non è lecito che l’amministratore proceda a far deliberare compensi “esagerati” nel momento in cui la società ha evidenti problematiche finanziarie (in sostanza, questo il punto generale, i compensi ingenti e sproporzionati sono compensi da considerarsi come compensi illeciti nel momento in cui la società dovesse terminare la sua corsa nell’ambito di una procedura di carattere concorsuale).
Nel caso di specie era avvenuto proprio questo ovvero una sostanziale apprensione di somme per importo ingente in spregio anche a quelle che erano le raccomandazioni del collegio sindacale (i ripetuti moniti dice la sentenza).
In buona sostanza un soggetto persona fisica, mediante questo “stratagemma” del compenso per il ruolo svolto (amministratore) aveva portato a casa delle ingenti somme lasciando invece in una condizione difficile gli altri creditori e pretendeva di difendersi sostenendo che in buona sostanza il compenso quale erogato era deciso dai soci e che egli si era limitato alla percezione dell’importo stabilito.
La Corte è chiara quando asserisce che “… con questa decisione … ha aggravato il dissesto e lo ha fatto deliberando in proprio favore emolumenti esorbitanti e percependo importi comunque ingenti e sproporzionati rispetto alla situazione economica in cui versava la società, agendo in totale spregio ai ripetuti moniti, rivoltogli dal collegio sindacale, finalizzati ad una gestione finanziaria più oculata e ad una contrazione delle spese, ivi comprese quelle per il compenso dell'amministratore …”.
Come abbiamo detto si ravvisa in questa decisione della Cassazione un invito agli amministratori a prestare attenzione ovvero a non approfittare del loro ruolo di soci per cercare una posizione di vantaggio rispetto ai normali creditori (e del resto la Cassazione dice che nel caso di specie siamo in presenza di una fattispecie diversa e ben più grave rispetto a quella di privilegiare un creditore).
Appare anche importante il ruolo dei sindaci che forse nel caso di specie hanno agito in modo corretto (ripetuti moniti).
Conclusioni
A mio modo di vedere la posizione assunta dalla Cassazione appare tecnicamente corretta e quindi sono concorde sul fatto che nel caso di specie si debba considerare come esistente il reato di bancarotta fraudolenta (non siamo in presenza di una mera violazione della par condicio creditorum e quindi di bancarotta preferenziale) e non di mera bancarotta preferenziale considerato che l’Amministratore conosce per definizione lo stato dell’impresa e quando delibera a suo vantaggio non si limita certamente ad una violazione della par condicio.