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Il romanzo "La cena" di Herman Koch presenta vari aspetti interessanti. Da questo romanzo è stato tratto il film "I nostri ragazzi", con Alessandro Gassmann e Vittoria Mezzogiorno, come pure il film “The dinner”, con Richard Gere.
La storia è ambientata in Olanda, quindi in un Paese assai progredito, uno di quelli che si citano sempre come modello di civiltà quando si parla di battaglie civili e progressiste. E poi si svolge in un ambito sociale di altissima borghesia, di persone benestanti e influenti, perfettamente integrate e vincenti.
Questo romanzo, quindi, sgombra il campo da ogni possibile equivoco sul fatto che la violenza e la mancanza di senso civico siano frutto dell'esclusione, dell'emarginazione, della povertà o della scarsa scolarizzazione. L'agghiacciante violenza che questa storia trasuda è unicamente ascrivibile all'animo umano, senza alcun alibi di carattere sociale. Si va dritti al punto.
La storia si sviluppa nel tempo esatto di una cena, i commensali sono due coppie altolocate (i mariti sono fratelli) ed è questa l'occasione per discutere di un fatto che non è ancora ufficiale: i rispettivi figli adolescenti hanno aggredito e ucciso (senza alcun motivo) una vecchia senzatetto. Che fare? Come comportarsi? Uno dei commensali è un uomo politico in vista, che si candida a governare il Paese sulla base di un programma improntato alla legalità e al rispetto.
Il distacco e il cinismo col quale l'argomento viene trattato lasciano senza fiato. Bisogna leggere il libro, perché tutto si gioca sul dialogo, nessun fatto rilevante avviene durante la cena.
Ce ne occupiamo perché questo romanzo ha il merito di evidenziare un punto fondamentale: come si presenta la giustizia quando ci tocca in prima persona, quando cioè smette di essere un argomento teorico e distante e incide invece la nostra carne viva, quando chiama direttamente la nostra responsabilità e quella delle persone alle quali vogliamo più bene?
E ci accorgiamo allora che oggi, al tempo dei talk-show, siamo abituati a vivere tutto in via teorica, anche i fenomeni che riguardano il vivere e morire: la giustizia, l'amore, la solidarietà. E ci abituiamo a pensare che questi siano concetti astratti e, quindi, siamo portati ad applicarli solo alle persone a noi lontane, alle situazioni che non ci toccano. Poi, invece, ci accorgiamo che - quando veniamo coinvolti in prima persona - tutto è diverso. La giustizia si fa responsabilità, l'amore si fa impegno e sacrificio, la solidarietà si fa condivisione, spesso scomoda.
Ci rendiamo conto, cioè, che abbiamo smarrito l'ordine naturale che deve regolare i rapporti tra gli esseri umani: ci commuoviamo (giustamente) per le fatiche affrontate dall'extracomunitario ma non rivolgiamo la parola al collega d'ufficio; ci battiamo per i diritti di chi non conosciamo, ma non siamo disposti a concedere nulla al vicino di casa.
Abbiamo reso tutto quanto teorico e distante e non appena la vita ci raggiunge, col suo puzzo e la sua miseria, ci ritroviamo attorno al tavolo di un ristorante di lusso per esaminare la faccenda con distacco, non riusciamo neanche a provare dolore per quel che è accaduto, ma solo disagio, fastidio per gli inconvenienti che questa storia potrà determinare se non riusciremo a gestirla correttamente. La questione rimane teorica anche adesso che ci tocca, perché non riesce a interrogarci sulle nostre responsabilità profonde, la vittima non esiste se non quale accessorio che ci sta rovinando la cena, che ci impedisce di assaporare le portate come meriterebbero.
Ma poi, in fin dei conti, cos'è il senso civico? Ne parliamo sempre, ci lamentiamo del fatto che oggi si sia smarrito, ma a cosa esattamente ci riferiamo quando parliamo di senso civico? Può ridursi alla mera osservanza delle leggi?
Se è questo, è un po' pochino. Rischia di sfaldarsi al primo temporale.
Senza una solida base morale anche il senso civico si riduce a un concetto vuoto, buono solo per la campagna elettorale. Se il senso civico si limita a un formalistico rispetto delle leggi, altrettanto formalisticamente potrà essere neutralizzato quando toccherà le nostre carni, ogni volta che saremo in condizione di neutralizzarlo. Perché, in fondo, spesso si trova il modo di neutralizzarlo.
E quindi, se non trova fondamento nella reale considerazione e attenzione per l'altro, anche il senso civico si riduce a una categoria astratta, formalistica e aggirabile.
Forse, allora, il messaggio nascosto che il romanzo "La cena" ci lancia sta proprio nel modo in cui è scritto, nello stile della narrazione. I personaggi parlano soltanto, teorizzano, astraggono. Quando invece sarebbe necessario cercare di rendere concreto ciò che di cui si parla, di viverlo.