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La scelta dei consulenti legali è un tema di grande attualità che deve essere affrontato tenuto conto che potrebbe esporre l’azienda a diversi fattori di rischio.
L’indice di rischio maggiormente evidente è il danno reputazionale, soprattutto se calato nella realtà attuale caratterizzata da una rapidissima diffusione delle notizie, anche riservate e talvolta parziali o inesatte, tramite la televisione, il web e l’utilizzo dei social media.
Non v’è dubbio che il legale esterno ormai ricopra nelle imprese un ruolo fondamentale, ponendosi quale guida nell’ambito di importanti scelte strategiche di compliance aziendale.
Si pensi al legale che presta consulenza per gli aspetti di applicazione del D.lgs. 231/2001 o della normativa posta a tutela della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro ai sensi del D.lgs. 81/2008.
A titolo esemplificativo, in relazione alla responsabilità degli enti, una scorretta individuazione dei rischi-reato propri della realtà aziendale di riferimento porterebbe all’adozione di un Modello Organizzativo inefficace alla radice che potrebbe, quindi, essere un inidoneo strumento di difesa della Società nell’ambito di un eventuale procedimento penale ai sensi del D.lgs. 231/2001.
O ancora.
Una inesatta individuazione dei soggetti della sicurezza e delle relative responsabilità penali condurrebbe ad una inefficace organizzazione in tema di sicurezza sul lavoro, con il conseguente rischio, in caso di eventi infortunistici, della moltiplicazione delle posizioni di garanzia.
Pertanto, una scelta errata del consulente legale, proprio per la delicatezza delle materie di cui si occupa, presta il fianco a problemi tutt’altro che secondari, che possono avere impatto sia all’interno dell’impresa che all’esterno.
Rilevanza interna perché il General Counsel o, più in generale, l’owner del processo di selezione si troverà a dover giustificare le proprie scelte davanti all’Amministratore Delegato, all’intero Consiglio di Amministrazione ed alle Funzioni di Controllo.
Esterna perché la Società potrebbe trovarsi a difendersi nell’ambito di un procedimento penale per scelte suggerite dal professionista incaricato, nonché trovarsi, come anticipato, a dover affrontare un danno di immagine e, quindi, reputazionale.
Ulteriore delicato tema riguarda l’utilizzo del professionista legale come mediatore.
Vi sono stati, negli ultimi anni, diversi casi giudiziari di risalto mediatico che hanno visto il coinvolgimento di legali. Si pensi alla vicenda dello Stadio di Roma o l’affair Russia-Lega.
Il principale problema sottostante ai professionisti che svolgono il ruolo di mediatori nell’interesse delle aziende riguarda le success fee che, se mal disciplinate, rischiano di creare delle provviste sproporzionate e spropositate.
Si faccia l’esempio di un legale che, in virtù delle sue indubbie competenze di amministrativista, viene incaricato a tenere i rapporti con la Pubblica Amministrazione per conto della Società in relazione ad un progetto di valorizzazione urbanistica, la cui parcella è regolata da una success fee. Se non disciplinata puntualmente, con la finalizzazione del progetto, la success fee potrebbe far lievitare l’onorario del professionista in modo tale da far sorgere dubbi, nel caso di un’eventuale attività ispettiva, che parte del compenso sia stato destinato alla corruzione del pubblico ufficiale preposto a valutare la richiesta autorizzativa.
La scelta del difensore deve quindi inserirsi in un sistema di compliance aziendale che sia difendibile internamente ed all’esterno. Il modo di difendere tal tipo di scelta – caratterizzato, per tradizione, dall’intuitu personae - consiste nell’essere in grado di fornire elementi coerenti e tracciabili sulle ragioni e sulle modalità di selezione.
E’ indubbio che la scelta del legale sia sorretta da diversi fattori concorrenti.
Un primo elemento è certamente il rapporto fiduciario. Si tratta di aspetto delicato che deve quindi essere accompagnato da ulteriori elementi.
Fiduciario va inteso nel senso del possesso del professionista di specifiche competenze e requisiti. Tale scelta però deve tenere in considerazione non solo le capacità tecniche ma deve essere parametrata anche al tipo di causa ed all’oggetto dell’incarico.
Sovente poi il legale è individuato a fronte di determinate circostanze ambientali, ovvero la circostanza che sia radicato sul territorio ove occorre la sua consulenza o ove si celebra il processo perché, ad esempio, si muove più agilmente negli uffici giudiziari. Questo dato però, se considerato da solo, potrebbe far sorgere il dubbio di una selezione effettuata sulla base di presunti rapporti illeciti con la magistratura o l’autorità pubblica.
Quindi, è doveroso chiedersi quale meccanismo attuare per difendere le scelte della Società.
Una prima opzione, sorta nell’ambito delle pubbliche amministrazioni e poi mutuata nel settore privato, consiste nella rotazione dei professionisti, ma con questo sistema si rischia di scontrarsi con il limite di una scelta vincolata, che potrebbe non consentire l’individuazione del professionista maggiormente idoneo rispetto all’incarico.
Un’ulteriore via riguarda l’adozione di un processo di qualifica dei consulenti che sia formalizzato in precise regole contenute in specifiche procedure, alla stregua di quanto avviene nell’ambito di selezione dei fornitori di beni. Tali procedure devono essere caratterizzate da principi individuati a monte, tra i quali, la segregazione dei poteri e la previsione di diversi livelli autorizzativi. Questo certamente è un sistema a tutela della Società, ma che non sempre è di semplice attuazione.
Nella recente esperienza si è fatta strada un’altra modalità: il beauty contest. Questo strumento consente al General Counsel di poter dimostrare, da un lato, di avere valorizzato il percorso economico e di efficienza nell’interesse dell’azienda e, dall’altro, di aver selezionato i soggetti in base a specifiche competenze professionali.
Quindi, nell’ambito del processo di selezione, il beauty contest può diventare fondamentale posto che offre la possibilità di provare l’attuazione di un iter selettivo basato su requisiti di autonomia ed indipendenza, essendo realizzato da una piattaforma esterna idonea a superare i comuni vincoli aziendali.
Occorre evidenziare che il beauty contest non deve essere utilizzato come strumento di gara al ribasso. Questo sarebbe un uso senza dubbio pericoloso perché quando si scende al di sotto dei limiti di ragionevolezza, la scelta poptrebbe facilmente indirizzarsi su una sfera di professionisti che formalmente possono offrire un servizio ma che qualitativamente potrebbero non garantire i necessari standard.
Si faccia l’esempio della delega di poteri nelle aziende che deve essere conferita a persona capace e competente, con attribuzione di un idoneo budget di spesa rispetto ai compiti delegati. Diversamente, si tratterebbe di una delega formale e non sostanziale che non porterebbe alcun beneficio all’impresa.
Il suddetto rischio però è sensibilmente limitato quando la piattaforma presenti un’accurata profilazione dei professionisti con la certificazione delle competenze per materia e della reputazione sul mercato attraverso le referenze dei clienti.
Per concludere, qualunque sia la strada che intende percorrere la Società, questa non può prescindere dall’impostazione di un sistema formalizzato di gestione degli incarichi professionali che sia tracciabile e sorretto da precisi criteri idonei a tracciare le modalità e le ragioni sottostanti alla scelta del consulente legale, a tutela anche della reputazione aziendale.