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Microimprese e Forme di Tutela
Ai sensi dell’art. 18, lett. d-bis) del codice del consumo, per “microimprese” si intendono le “entità, società o associazioni che, a prescindere dalla forma giuridica, esercitano un’attività economica, anche a titolo individuale o familiare, occupando meno di dieci persone e realizzando un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a due milioni di euro”.
Con la modifica al codice del Consumo si è voluto proteggere la microimpresa da tutte quelle pratiche commerciali scorrette (con esclusione della pubblicità) volte ad incidere sulle decisioni di concludere un determinato contratto o accordo commerciale. Viene così creata una forma di tutela per la Microimpresa ogni qualvolta una pratica commerciale concretizzi l’attitudine a limitare considerevolmente la libertà di scelta dei destinatari, inducendoli ad assumere decisioni di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso.
Il controllo di tali pratiche è affidato all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) dall’art. 27 del Codice del Consumo.
L’abuso di dipendenza economica e abuso di posizione dominante
Nell’ambito dei rapporti commerciali tra imprese (B2B) accade molto spesso che la trattativa contrattuale dia vita ad un accordo sbilanciato in favore del ‘contraente forte’ e in danno ‘del contraente debole’ il quale si trova spesso costretto ad accettare le condizioni impostegli essendo i margini di trattativa assai ristretti.
E’ per questo che nel 1998 è stata attuata una forma di tutela volta a reprimere il cosiddetto abuso di dipendenza economica definito come “la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare nei rapporti commerciali con un'altra impresa un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi”. “E' vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice” (L. 18-6-1998 n. 192, art. 9).
A differenza della sopra richiamata tutela contro le pratiche commerciali aggressive e scorrette, la tutela contro l’abuso di dipendenza economica prescinde dalla qualifica di Microimpresa ma è estesa ad ogni esercente attività economiche, indipendentemente dalla dimensione, che sia in concreto soggiogato dal vincolo contrattuale imposto dall’operatore economico molto più “potente”. A differenza dell’abuso di posizione dominante, costituisce una regola inerente alla disciplina dei rapporti contrattuali fra le parti, con finalità che possono prescindere dalla loro incidenza sui meccanismi concorrenziali (le norme antitrust sono disposizioni generali dirette a tutelare il processo concorrenziale in relazione all’assetto di mercato).
Nel primo decennio del 2000 vi era una forte spaccatura nelle sentenze dei Tribunali italiani alcuni dei quali, ritenevano che la disciplina dell'abuso di dipendenza economica non fosse applicabile a rapporti contrattuali differenti dalla subfornitura produttiva, mentre altri orientamenti l’hanno applicato anche a contratti di franchising, servizi di telefonia e appalti di servizi distributivi.
Il nodo è stato risolto nel 2011 (confermato nel 2014 e recentissimamente nel 2020) quando la Corte di Cassazione ha riconosciuto l’abuso di dipendenza economica come un principio generale dell’ordinamento, come tale applicabile ad ogni rapporto contrattuale.
La nullità del patto che realizza l’abuso
Perché vi sia abuso di dipendenza economica è necessario un esame concreto dei fatti attraverso i quali si dia esecuzione al contratto concluso tra le parti, analizzando così nel concreto le singole obbligazioni, il tutto per far emergere la liceità o meno dell'interesse in vista del quale il comportamento è stato tenuto. Nell'applicazione della norma è pertanto necessario: 1) quanto alla sussistenza della situazione di "dipendenza economica", indagare se lo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti sia "eccessivo", essendo il contraente che lo subisce privo di reali alternative economiche sul mercato (p. es., perché impossibilitato a differenziare agevolmente la propria attività o per avere adeguato l'organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto); 2) quanto all'"abuso", indagare la condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l'intenzionalità di una vessazione perpetrata sull'altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell'impresa dominante (quale, p. es., modificare le proprie strategie di espansione, adattare il tipo o la quantità di prodotto, o anche spuntare migliori condizioni), mirando la condotta soltanto ad appropriarsi del margine di profitto altrui.
L’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto.
Poiché l'abuso in questione si concretizza nell'eccessivo squilibrio di diritti e obblighi tra le parti nell'ambito di "rapporti commerciali", esso presuppone che tali rapporti siano regolati da un contratto, tant'è che il comma terzo dell'art. 9 citato statuisce la nullità del "patto che realizza l'abuso”. L’accertamento dell’abuso consentirà di promuovere l’azione per il risarcimento del danno nonché le azioni inibitorie finalizzate a far cessare il comportamento illecito o vietato
L’attività dell’AGCM
Dopo che la Cassazione lo assurge a principio generale dell’ordinamento, l’AGCM ha accertato nel 2016 il primo caso di abuso di dipendenza economica in fattispecie di violazione reiterata della disciplina sui termini di pagamento (art. 9, comma 3 bis della legge 18 giugno 1998, n. 192, come modificato dalla legge n. 180/2011, come modificato dalla legge n. 180/2011). Nello specifico, le condotte oggetto di accertamento, protratte per un periodo di tempo superiore ai 3 anni e mezzo, sono consistite (i) nel sistematico pagamento dei fornitori a 120 giorni anziché entro i 60 previsti dalla legge; (ii) nell’aver proseguito in tale infrazione nonostante l’entrata in vigore della disciplina relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e nonostante le specifiche richieste delle imprese fornitrici e delle loro associazioni rappresentative di attenersi ai termini di legge.
In forza di poteri attribuiti dall’art. 62 DL 1/2012, l’AGCM sta indagando la sussistenza di abuso di dipendenza economica nelle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari, dai grandi colossi dei mercati tecnologici, alle microimprese, in relazione a queste ultime contrastando comportamenti che altrimenti potrebbero determinarne l’uscita dal mercato.
L’Autorità ha avviato nel 2018-2019 sei istruttorie nei confronti dei principali operatori nazionali nel settore della GDO volta ad accertare eventuali pratiche sleali, contestando l’imposizione, ai propri fornitori di pane fresco, dell’obbligo di ritirare e smaltire a proprie spese l’intero quantitativo di prodotto invenduto a fine giornata.
Più di recente, l’Autorità ha altresì aperto un’istruttoria in relazione ai prezzi del latte sardo di pecora, destinato alla produzione di pecorino romano DOP, per verificare se il Consorzio per la Tutela del Formaggio Pecorino Romano e trentadue imprese di trasformazione a esso aderenti, tutte con sede in Sardegna, abbiano imposto agli allevatori un prezzo di cessione del latte al di sotto dei costi medi di produzione.
In materia di abuso di dipendenza economica, l’Autorità ha avviato un’istruttoria nei confronti di una società di distributori di giornali e periodici a livello nazionale, al fine di verificare un presunto abuso di dipendenza economica, pregiudizievole per la concorrenza, consistente nella scelta di interrompere la fornitura di quotidiani e periodici a un distributore locale, comportamento che potrebbe condizionare l’intero mercato rilevante della distribuzione locale di stampa quotidiana e periodica nell’area geografica interessata.
Conclusione
Per concludere, quindi, in tempi piuttosto recenti sia il legislatore che la giurisprudenza hanno prestato interesse alla tutela della Microimpresa ma anche a tutte quelle realtà economiche che si trovino in posizione di svantaggio nella contrattazione con soggetti dall’ampio potere contrattuale. Tali interventi hanno così permesso di imporre un riequilibrio delle obbligazioni contrattuali tra le parti contenendo il pericolo di preminenza del contraente forte in danno delle più piccole realtà.