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Va anzitutto segnalato che i datori di lavoro non sono espressamente tenuti ad aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) di cui all’art. 28 del Decreto 81/2008 in relazione al rischio da COVID-19, ad eccezione del caso in cui il rischio biologico sia un rischio di natura professionale già presente nel contesto espositivo dell'azienda. I datori di lavoro sono sicuramente tenuti al rispetto delle normative speciali emanate in via d’urgenza a tutela dell’incolumità pubblica e della salute della collettività: i Decreti e le Ordinanze che vengono emanati da Governo/Regioni sono Atti generali contenenti disposizioni speciali in ragione dell’emergenza sanitaria che come tali prevalgono sugli ordinari obblighi di tutela della salute sul lavoro previsti dal D.Lgs. 81/2008 e da altre leggi.
Ciò nonostante, è opportuno che i datori di lavoro, fermo il rispetto delle norme cogenti predisposte dalle Autorità, provvedano ad aggiornare il Documento dei Valutazione dei Rischi attraverso la profilazione del rischio del contagio da COVID-19 e l’elencazione delle misure di tutela ed attenuazione del rischio. In alternativa, i datori di lavoro sono comunque chiamati ad integrare e rafforzare le ordinarie indicazioni igieniche mediante la predisposizione di piani di intervento specifici redatti in collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione istituito ai sensi dell’art. 31 e ss. D. Lgs. 81/2008 e con il Medico Competente nominato ai sensi dell’art. 38 e ss. D. Lgs. 81/2008.
A tal riguardo gli obblighi imposti dalle Autorità Governative e le raccomandazione diffuse dalle Autorità Sanitarie – si citano, ad esempio, la possibilità di favorire la modalità del lavoro a distanza anche in assenza di un accordo individuale (secondo quando stabilito dal DPCM 1 marzo 2020 per quanto riguarda il “lavoro agile”), il divieto di effettuare incontri collettivi in situazioni di affollamento in ambienti chiusi, privilegiando soluzioni di comunicazione a distanza; il rispetto, nello svolgimento di incontri o riunioni, delle modalità di collegamento da remoto o, in alternativa, il rispetto del “criterio di distanza droplet” (almeno 1 metro di separazione tra i presenti); la regolamentazione dell’accesso agli spazi destinati alla ristorazione (es. mense), allo svago o simili (es. aree relax, sala caffè, aree fumatori), mediante programmazione del numero di accessi contemporanei o mediante applicazione del “criterio di distanza droplet”- possono rappresentare una base utile per l’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi o per la redazione di specifici piani di intervento. A tale base deve poi accompagnarsi l’indicazione specifica delle norme di comportamento da adottare in caso di contagi sospetti o confermati.
Le conseguenze per i datori di lavoro che non adottano tali piani di intervento (o che non aggiornano il Documento di Valutazione dei Rischi) potrebbero essere triplici. Sotto un primo profilo, potrebbe configurarsi una responsabilità contrattuale del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo generale di cui all’art. 2087 c.c. Eventuali lavoratori contagiati potrebbero infatti sostenere che il datore di lavoro è inadempiente rispetto al predetto obbligo per non aver adottato le misure “necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore nello svolgimento della non prevista prestazione” ovvero per non aver “esercitato il controllo sulla conseguente esecuzione nel rispetto dei paradigmi di sicurezza legislativamente richiesti” (Cass. 5.1.2018, n. 146), In tal caso, “ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di avere adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo” (cfr. Cass. 17.2.2009, n. 3788). E se il datore di lavoro non avesse adottato alcun piano di intervento né aggiornato il Documento di Valutazione dei Rischi rispetto al rischio di contagio da COVID-19 la prova gravante sul datore “di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di avere adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo” sarebbe certamente complessa. Sotto un ulteriore profilo, i datori di lavoro che non adottano tali piani di intervento né aggiornano il DVR potrebbero andare in contro a sanzioni di carattere amministrativo (art. 55, lett. h) D. Lgs. 81/2008), ad esempio per violazione dell’obbligo di cui all’art. 18, lett. i) del D. Lgs. 81/2008 (“informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione”). Infine, nell’ipotesi in cui il contagio si sia diffuso nell’ambiente di lavoro con conseguenze gravi sotto il profilo sanitario per i lavoratori colpiti, potrebbe configurarsi una responsabilità di tipo penale del datore di lavoro - ovvero colui che riveste tale qualifica ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008 - per i reati definiti dagli articoli 589 e 590 del Codice penale. (lesioni personali colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, fino alla possibilità dell’omicidio colposo in caso di decesso del lavoratore) con possibili implicazioni anche sotto il profilo della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D. Lgs. 231/2001 ove applicabile.
Anche per tali motivi l’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi o, in alternativa, l’adozione di un piano di intervento e di rafforzamento delle misure ordinariamente adottate in azienda è oltremodo necessario.