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COVID-19 e digitalizzazione: dall’efficienza all’etica
In poche settimane, l’emergenza coronavirus ha completamente cambiato il dibattito italiano sul rapporto tra digitalizzazione e impresa, digitalizzazione e Pubblica Amministrazione, digitalizzazione e società nel suo complesso. Se prima della fine di febbraio esisteva ancora qualcuno -sempre più una minoranza, a dire il vero- che discuteva “se” fosse opportuno imprimere una forte spinta verso la transizione al digitale di diverse pratiche e servizi, oggi praticamente tutti gli osservatori e l’opinione pubblica accettano che avere la possibilità di smaterializzare le nostre interazioni sia semplicemente necessario. In un mondo ormai istantaneamente interconnesso, sappiamo che le crisi locali possono diventare facilmente globali -come un’epidemia diventata pandemia- e dobbiamo proteggerci di conseguenza.
Avere opzioni digitali disponibili per ogni aspetto del nostro lavoro (e del nostro quotidiano) non è quindi più evitabile. Questo significa non solo che le nostre tecnologie devono essere più performanti (una connessione più veloce, un GPS più preciso, un software più intuitivo) ma anche che devono avere le carte in regola da un punto di vista etico. È definitivamente finita l’epoca in cui la sfera digitale poteva permettersi di essere una sorta di zona franca rispetto alla sfera “analogica” in ragione della sua marginalità. Sempre per rimanere in Italia e alle vicende delle ultime settimane, possiamo portare come esempio di questo nuovo approccio il percorso dell’app di tracciamento anti-coronavirus “Immuni” -la cui attivazione è stata a lungo rimandata per dubbi sulla liceità della sua raccolta e gestione dei dati. Vogliamo, insomma, che digitalizzazione e responsabilità viaggino sullo stesso binario.
La “Corporate Digital Responsibility”
Da diversi anni ormai si parla, nel mondo e in Italia, di Corporate Social Responsibility (CSR), ossia l’idea che le imprese debbano avere cura di comportarsi in modo etico e corretto andando oltre il semplice rispetto della legge. Più di recente, soprattutto nel mondo anglosassone è stato introdotto un sottoinsieme della CSR chiamato Corporate Digital Reponsibility (o CDR). È stata efficacemente definita come “un insieme di pratiche e comportamenti che aiutano un’organizzazione a usare i dati e la tecnologia in un modo che sia socialmente, economicamente, tecnologicamente e ambientalmente responsabile” (traduzione di un passaggio dell’articolo “Corporate Responsibility in the Digital Era”, pubblicato sulla MIT Sloan Review lo scorso 28 aprile). Alla luce del ragionamento fatto finora, siamo convinti che sia venuto il momento di introdurre con decisione il concetto di Corporate Digital Responsibility anche in Italia, soprattutto per le imprese.
Vediamo un poco più nel dettaglio che cosa significa un uso di dati e tecnologia responsabile secondo i quattro modi indicati.
- Socialmente: prima di tutto, garantendo la protezione dei dati di tutti gli stakeholder interni ed esterni (in primis impiegati e clienti).
- Economicamente: ad esempio stando attenti a non rimpiazzare in maniera “selvaggia” il lavoro fatto dalle persone con quello delle macchine, o anche alla proprietà intellettuale.
- Tecnologicamente: facendo un uso etico dell’intelligenza artificiale e i suoi algoritmi, adottando delle policy responsabili di cybersecurity e seguendo delle pratiche altrettanto responsabili di validazione ed eliminazione dei dati.
- Ambientalmente: eliminando (e, se possibile) riciclando i dispositivi digitali con attenzione, e avendo un occhio di riguardo per il loro consumo energetico.
Sono tutti elementi da tenere in debito conto, ed è il motivo per cui auspichiamo che Corporate Digital Responsibility diventi, anche in Italia, un concetto corrente e condiviso come è diventato Corporate Social Responsibility.
La Corporate Digital Responsibility contribuisce alla Corporate Social Responsibility
Ma c’è un’ultima cosa in più da sottolineare in aggiunta a quanto scritto, e che vorremmo inserire nel dibattito: la “responsabilità digitale d’impresa” non dovrebbe essere intesa solamente come qualcosa che riguarda le pratiche e gli strumenti digitali -in maniera, per così dire, auto-riflessiva- ma anche come qualcosa che impatta positivamente sulla responsabilità d’impresa tout-court. Lo abbiamo già sottolineato in un pezzo scritto per il sito di 4cLegal nel contesto della nostra partecipazione all’iniziativa La Direzione Legale Sostenibile: quello sulla scelta tre volte sostenibile del “going paperless”; e abbiamo condiviso con piacere le riflessioni sulla digital integration (e il ruolo di leadership delle direzioni legali in essa) come vettore della sostenibilità delle aziende in generale scritto da Giacomo Giudici, sempre di 4cLegal, per Agenda Digitale. Adottare presidi digitali di qualità significa migliorare i parametri di Governance, sociali e ambientali del proprio business non strettamente collegati alla tecnologia.