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A livello formale, l’emergere di una situazione di pandemia non sembra avere effetti diretti sui contratti, salvo i casi in cui tale evento sia stato espressamente o implicitamente richiamato da essi, con conseguenze talvolta molto rilevanti. Un esempio in questo senso sono alcune polizze assicurative, in cui la dichiarazione di pandemia da parte dell’OMS è presa in considerazione nelle clausole di esclusione di operatività delle coperture.
Al di là di questo, sono le conseguenze della pandemia – così come quelle dell’emergenza coronavirus in cui il nostro Paese si trovava già da alcune settimane – ad influire maggiormente sui rapporti contrattuali. La continua adozione di provvedimenti della Pubblica Autorità, la modificazione repentina delle condizioni del mercato con un improvviso calo della domanda, la difficoltà di reperire le risorse e la manodopera necessarie alla produzione, sono tutte circostanze che hanno iniziato a verificarsi anche prima della dichiarazione dell’OMS, e che potrebbero moltiplicarsi sia a livello italiano che internazionale nel breve e medio periodo.
È necessario, dunque, determinare caso per caso su quale parte contrattuale debbano essere allocati rischi di questo genere.
Pare, pertanto, utile in primo luogo analizzare il contenuto dei singoli contratti. Va, infatti, osservato che spesso essi contengono clausole di hardship, di “forza maggiore”, o altrimenti denominate, le quali possono prevedere svariati effetti giuridici (scioglimento del contratto, sospensione temporanea degli obblighi reciproci, obblighi di rinegoziazione, ecc.) per una serie di ipotesi tra cui potrebbero rientrare – espressamente o implicitamente – anche quella della pandemia o delle sue conseguenze. Occorrerà, dunque, dapprima verificare l’esistenza, il contenuto e gli effetti di tali clausole contrattuali.
Inoltre, nei rapporti regolati dal diritto italiano, possono venire in rilievo una serie di disposizioni legislative relative alla materia dei contratti in generale, automaticamente applicabili anche a rapporti contrattuali che non contengono clausole di hardship o di “forza maggiore”.
Come è noto, la parte contrattuale che non adempie la propria prestazione – oltre a poter subire la risoluzione del contratto o una condanna all’adempimento – è tenuta al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lei non imputabile (art. 1218 cod. civ.).
Le conseguenze dell’attuale situazione pandemica potrebbero costituire una causa di inadempimento non imputabile al debitore, che lo esenta dunque da responsabilità. Se esse impedissero definitivamente l’esecuzione della prestazione dedotta nell’obbligazione, questa si estinguerebbe (art. 1256, co. 1 cod. civ.), il contratto si risolverebbe di diritto per impossibilità sopravvenuta e quanto è già stato corrisposto dovrebbe essere restituito (art. 1463 cod. civ.; ma vi sono delle eccezioni, ad es. nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, e in quelli ad effetti traslativi o costitutivi).
Se esse influissero solo temporaneamente sulla possibilità di adempiere, il debitore non sarebbe considerato responsabile del ritardo, ma rimarrebbe obbligato ad eseguire la prestazione non appena possibile. Anche in tal caso, è importante verificare come le regole generali interagiscano con il singolo contratto. Ad esempio, in una locazione di un immobile adibito a punto vendita – in cui si fa espresso richiamo a tale utilizzo nel titolo contrattuale – i provvedimenti della Pubblica Autorità che impongono la chiusura temporanea dell’esercizio potrebbero integrare un’impossibilità temporanea, con conseguente sospensione dell’obbligo di pagare il canone. Sempre in tema locazione, invece, pare più problematico giustificare un’impossibilità temporanea nei casi di immobili ad uso uffici.
Qualora però l’impossibilità si protraesse così tanto da rendere inutile la prestazione, l’obbligazione si estinguerebbe (art. 1256, co. 2 cod. civ.), il contratto si risolverebbe di diritto per impossibilità sopravvenuta e quanto è già stato corrisposto dovrebbe essere restituito (art. 1463 cod. civ.; con le eccezioni di cui si è detto sopra).
Inoltre, alcuni rapporti contrattuali (ad esecuzione continuata o periodica oppure ad esecuzione differita, ma non aleatori) possono essere risolti se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili (art. 1467, co. 1 cod. civ.), tra cui potrebbero rientrare le conseguenze della pandemia. Tuttavia, la parte che avrebbe dovuto ricevere la prestazione divenuta eccessivamente onerosa può evitare la risoluzione del contratto, offrendo all’altra di modificarne le condizioni (art. 1467, co. 2 cod. civ.).
A seconda del tipo di contratto stipulato, potrebbero poi essere applicabili ulteriori disposizioni, contenute nel Codice civile o in leggi speciali. Le conseguenze dell’emergenza coronavirus potrebbero ad esempio costituire impedimento all’inizio o alla continuazione di un trasporto, con gli effetti di cui all’art. 1686 cod. civ; potrebbero integrare i gravi motivi che, ai sensi dell’art. 27, co. 8 l. 27 luglio 1978, n. 392, permettono al conduttore di recedere dal contratto di locazione con preavviso di almeno sei mesi, a prescindere dalla sua scadenza naturale; e così via.
Bisogna, inoltre, tenere conto delle disposizioni di carattere emergenziale appositamente emanate per far fronte all’attuale contingenza, come quelle di cui all’art. 28 d.l. 2 marzo 2020 n. 9 in materia di viaggi e pacchetti turistici.
Quanto, infine, all’incidenza dell’attuale stato emergenziale sulla categoria dei “contratti pubblici” (quelli in cui una delle parti del rapporto che ne deriva è rappresentata da una pubblica amministrazione o, comunque, da un soggetto tenuto all’applicazione del d.lg. n. 50/16, cd. “Nuovo Codice dei Contratti Pubblici”), la situazione pandemica in corso potrebbe certamente condizionare il regolare andamento dell’esecuzione della commessa, alterandone lo sviluppo rispetto all’iniziale programmazione e così determinando l’esigenza di ricorrere a varianti in corso d’opera ex art. 106, c. 1, lett. c), del d.lg. n. 50/16, a fronte di circostanze qualificabili, a buon diritto, come “impreviste e imprevedibili”.
Come nella generalità dei contratti inter privatos, l’attuale emergenza coronavirus potrebbe anche comportare la temporanea o definitiva impossibilità per l’appaltatore di adempiere alle obbligazioni contrattualmente assunte. Nella prima delle due ipotesi (ossia in quella di temporanea impossibilità) potrebbe trovare applicazione l’art. 107 del d.lg. n. 50/16, il quale consente, a fronte di circostanze imprevedibili o di forza maggiore, la temporanea sospensione del contratto o la possibilità di chiedere una proroga dello stesso laddove il termine di scadenza non possa essere rispettato. Sia la sospensione che la proroga, tuttavia, non operano in modo automatico ma sono subordinate all’invio di specifica ed espressa richiesta da parte dell’appaltatore.
In caso di impossibilità sopravvenuta, invece, in assenza di una specifica previsione normativa contenuta del d.lg.n.50/16, risulterebbe direttamente applicabile, in punto di principi e regole di diritto, il regime civilistico e, in particolare, l'art.1256 cod.civ. sopra richiamato.