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Il 19 agosto 2019, la Business Roundtable (l’associazione che riunisce i CEO delle più grandi aziende americane) ha pubblicato lo “Statement on the Purpose of a Corporation”. Si tratta di un documento che -come dichiara il titolo- ha l’obiettivo di definire quale sia il fine ultimo di un’azienda, e del fare impresa. La Business Roundtable pubblicò il primo Statement di questo tipo nel 1978, e da allora lo ha periodicamente aggiornato. Quest’anno, però, la modifica è stata dirompente: molti hanno parlato di una svolta storica contenuta in un testo di sole 305 parole.
Per la prima volta, infatti, è stato eliminato il principio della “shareholder primacy”. Per 41 anni, non era stata mai messa in discussione l’idea -considerata un caposaldo del capitalismo- che il business di una grande azienda dovesse prima di tutto creare valore (finanziario) per investitori e azionisti. Quest’anno, invece, lo Statement recita che le aziende devono “condividere un impegno fondamentale con tutti [gli] stakeholders” (e la parola “tutti” è sottolineata nel documento originale)[1]. Tra di essi ci sono, naturalmente, anche gli azionisti, ma sono stati messi all’ultimo posto di una lista che comprende cinque categorie di portatori d’interessi. Quali sono le altre quattro?
- I clienti, a cui le aziende devono offrire valore con le loro merci e/o servizi.
- I dipendenti, in cui le aziende devono investire: prima di tutto con una remunerazione e dei benefit adeguati, ma anche con iniziative di training, promuovendo costantemente “diversità e inclusione, dignità e rispetto”.
- Le comunità nel loro complesso, che le aziende devono supportare rispettando le persone e proteggendo l’ambiente.
- I fornitori, con cui le aziende devono interagire “in maniera corretta ed etica”. “Siamo impegnati” -recita lo Statement- “ad agire come buoni partner con le altre compagnie, grandi e piccole, che ci aiutano a compiere la nostra mission”.
Concentriamoci sull’ultimo punto. Che la supply chain trovi un posto di primo piano in un documento così importante e allo stesso tempo così sintetico è un fatto estremamente significativo. Anche dal punto di vista delle direzioni legali. Questo perché l’affidamento esterno di incarichi legali, per un numero sempre maggiore di grandi aziende, costituisce una fornitura -l’acquisto di un servizio, per l’appunto, legale- a tutti gli effetti. In quanto tale, espone le aziende stesse a rischi reputazionali che vanno considerati se non viene effettuato con efficienza e trasparenza, invece -se trattato proattivamente- può diventare anche un fattore di sostenibilità da evidenziare.
I gruppi IBSA Institute Biochimique SA e Duferco, per esempio, hanno seguito quest’ultima strada, inserendo la loro policy di acquisto di servizi legali nei rispettivi Report di Sostenibilità e ponendosi così come leader di un trend che non potrà che crescere. Duferco lo ha fatto posizionando il legal procurement nel gruppo più ampio dei “third-party consultants”, a sua volta inserito nel capitolo generale della supply chain (e, più precisamente, della “supply chain risk”). Per 4cLegal -che è l’abilitatore tecnologico del legal procurement sostenibile per entrambi i gruppi citati- questo deve essere il quadro concettuale e operativo di riferimento. Dallo scorso agosto, i CEO di alcune delle più grandi aziende del pianeta hanno messo nero su bianco dei principi in linea con la posizione che la nostra società mantiene da anni. È, senza dubbio, un’ottima notizia. E siamo sicuri concorrerà a ispirare le pratiche e le condotte di diverse altre direzioni legali in un futuro prossimo.
[1] Business Roundtable, Statement on the Purpose of a Corporation (2019): “we share a fundamental commitment to all of our stakeholders”. https://opportunity.businessroundtable.org/wp-content/uploads/2019/09/BRT-Statement-on-the-Purpose-of-a-Corporation-with-Signatures-1.pdf [ultimo accesso 05/11/2019]