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Avvocato Bianchi, cominciamo dando uno sguardo alla sua carriera e al perché lei è una voce autorevole se si parla di direzioni legali.
Non so se sono una voce autorevole: semplicemente, per quasi trent’anni sono stato un in-house lawyer e quindi, sulla base della mia personale esperienza, mi sono fatto delle opinioni. Dopo una prima esperienza in studio (durante la quale mi sono francamente annoiato) sono stato assunto dall’Ufficio Legale della Rizzoli-Corriere della Sera. Lì, obiettivamente, mi divertivo, e sono rimasto un anno e mezzo. Poi c’è stato il grande salto a Torino, nella direzione legale dell’Iveco per occuparmi (anche) del processo di internazionalizzazione della società. Ci sono rimasto sedici anni e per dieci anni ho ricoperto il ruolo di General Counsel, coordinando l’attività di più di una ventina di in-house sparsi per l’Europa. Lasciata l’Iveco nel 2008, per due anni sono stato General Counsel di Fiat Group Purchasing. Nel 2010 ho deciso di terminare la mia esperienza in-house e da allora collaboro con lo Studio CastaldiPartners, a Milano. Dal 2011 al 2017 sono stato nell’Organismo di Vigilanza della Brembo SpA, prima Presidente e poi membro dell’OdV
Direzioni legali e sostenibilità: come si dovrebbe declinare secondo lei questo connubio, sia internamente alla direzione legale sia nel rapporto tra direzione legale e altre funzioni aziendali sia? Proviamo a pensare in termini di criteri ESG (Environmental, Social, Governance).
Un progetto di sostenibilità deve ovviamente coinvolgere tutte le funzioni aziendali, direzione legale inclusa. All’interno della direzione legale i criteri su cui il General Counsel deve riflettere sono principalmente “Social” e “Governance”. Per il General Counsel ciò significa interfacciarsi in maniera trasparente con tutti quelli con cui è chiamato ad interagire (e quindi non soltanto “guardare in alto” verso l’Amministratore Delegato o il CdA, ma anche “guardarsi attorno” con collaboratori, clienti interni, studi legali esterni). Un simile approccio implica che il General Counsel abbia una “vision” del ruolo che la direzione legale deve svolgere e comunicarla ai nostri interlocutori (il che peraltro dovrebbe accadere anche a prescindere e prima che la società predisponga un progetto di sostenibilità).
In sintesi, “sostenibilità” nei confronti dei collaboratori significa chiarezza sui percorsi di carriera, riconoscimenti economici adeguati, ma anche e soprattutto disponibilità a trasferire loro esperienza, competenze e “vision” così da farli crescere professionalmente e farli sentire parte di un unico team. Per quanto riguarda i clienti interni, invece: gestione della relazione, proattività, creatività, conoscenza dei processi e delle procedure aziendali, capacità di fornire soluzioni ai loro problemi, in linea con gli obiettivi aziendali e sempre nel rispetto delle procedure aziendali. Infine, per quanto riguarda gli studi legali esterni: procedure chiare per identificare le situazioni in cui chiedere assistenza (contenzioso, questioni legali non ricorrenti e non ripetibili per cui non è conveniente costruire una legal expertise in house, legal commodities per cui è più conveniente affidarsi a legali esterni) e procedure altrettanto chiare per selezionare gli studi esterni da coinvolgere.
E il rapporto con le altre funzioni aziendali?
A differenza delle singole Funzioni o Business Unit che “pensano” e operano all’interno dei rispettivi perimetri, il General Counsel e la direzione legale (e oggi si può forse dire lo stesso per l’Internal Audit che peraltro, almeno nella mia esperienza, ha più una funzione di controllo “a posteriori”) sono, per così dire, trasversali all’organizzazione aziendale in quanto per definizione sono chiamati a fornire una consulenza ed un supporto legale ma anche operativo a tutte le Funzioni aziendali.
La conseguenza è che General Counsel e direzione legale hanno quantomeno una consapevolezza di come vengono condotte le operations in tutte le aree aziendali e sono quindi in grado di meglio comprendere come declinare le procedure destinate a gestire ed implementare compliance e sostenibilità, così da garantire un equilibrio tra le day-by-day operations delle singole funzioni e la necessità di assicurare il rispetto degli obiettivi di compliance e di sostenibilità.
Perché le società dovrebbero preoccuparsi di avere un progetto di sostenibilità?
Ovviamente parliamo di società medio-grandi o proprio di multinazionali, a maggior ragione se quotate o con una clientela “consumer”. Ormai da anni abituate a confrontarsi con compliance, modelli organizzativi e codici di condotta, le società ormai hanno compreso che non conta sempre e soltanto la riga del bilancio dove viene indicato l’utile netto conseguito dall’azienda (che comunque conta sempre molto) ma anche l’immagine che la società stessa è in grado di proporre ai suoi stakeholder. Aggiungiamo che in un mondo globalizzato i “rischi reputazionali” sono sempre più possibili. Senza dimenticare che, almeno per le società quotate, l’introduzione di un progetto di sostenibilità è un buon viatico per rendere più attraenti le azioni per fondi che decidono i loro investimenti anche sulla base di criteri etici.
Quello della sostenibilità è un tema decisamente “caldo” in questo momento nella business community, e ha raggiunto anche il lavoro delle direzioni legali. Da quanto ne sente parlare lei? Ci può disegnare una parabola della popolarità del termine con riferimento alle direzioni legali?
A fine 2008 quando la responsabile dell’Unità di Sostenibilità dell’intero gruppo Fiat venne a darmi il lieto annuncio. In quell’occasione la mia prima reazione non fu entusiasta, non tanto per la sostenibilità in sé, quanto piuttosto perché mi si chiedeva di ampliare il perimetro delle attività della direzione legale a parità di budget e di risorse. Comunque fin da subito diventammo amici e in seguito il progetto sostenibilità mi ha dato molte soddisfazioni professionali. Gradualmente sostenibilità divenne un termine popolare, o quantomeno riconosciuto in azienda, e non poteva essere altrimenti in quanto limitarsi a “dichiarare la sostenibilità” soltanto inserendo dei “Principi di Sostenibilità” sul sito web dell’azienda è soltanto una “foglia di fico” evidente fin da subito. La sostenibilità di per sé è pervasiva in quanto va tarata, applicata e misurata non soltanto all’interno delle funzioni e business unit aziendali, ma anche diffusa tra quanti partecipavano alla value chain della società (fornitori, distributori, consulenti). E non è dunque un caso che mi sia dovuto ancora occupare, seppur indirettamente, di sostenibilità, quando ricoprivo la carica di presidente dell’Organismo di Vigilanza della Brembo S.p.A., per l’appunto un primario fornitore, che aveva anch’essa avviato un progetto di sostenibilità.
La compliance prima e oggi la sostenibilità hanno contribuito e contribuiranno a cambiare il ruolo del General Counsel e della direzione legale?
Certamente sì. Se mi guardo indietro il ruolo, la responsabilità e i compiti della direzione legale nel tempo sono cambiati, o meglio si sono ampliati. Quando ho cominciato la mia attività in-house a Torino il compito principale della direzione legale era quello tradizionale, ovvero gestire il contenzioso. Complice la globalizzazione dei mercati, l’internazionalizzazione ha fatto sì il General Counsel venisse sempre più coinvolto nelle strategie di internazionalizzazione, e ciò ha significato per gli in-house counsel redigere e negoziare contratti internazionali e non.
Il D.Lgs 231, la compliance, con la necessità di mappare e procedimentalizzare i processi aziendali, e oggi la necessità di implementare e presidiare i progetti si sostenibilità, hanno fatto sì che anche in questo caso General Counsel e direzione legale abbiano dovuto dare un contributo non banale nell’analisi e nella redazione stessa delle procedure aziendali e alla verifica del loro rispetto. Iper-semplificando potrei dire che le tappe dell’in-house legal department a cui io ho assistito e partecipato potrebbe essere condotte a tre fasi distinte: litigation, contrattualistica (redazione e negoziazione), procedure.
È a favore o contro l’idea di affidare al General Counsel la responsabilità del progetto di sostenibilità?
Nella mia esperienza il progetto di sostenibilità nella grande multinazionale era gestito, al pari di quel che accadeva per i principali concorrenti, da uno specifica Unità di Sostenibilità che teneva i contatti con le agenzie di rating di sostenibilità, o di rating ESG che dir si voglia (pensiamo al Dow Jones Sustainability World Index), identificava le aree e i processi aziendali da monitorare, raccogliendo presso le vari funzioni aziendali i dati e le informazioni relativi e predisponendo il “Bilancio di Sostenibilità”. Ovviamente già allora l’Unità di Sostenibilità si rapportava con tutte le Funzioni aziendali (e certamente anche con il General Counsel).
Affidare la responsabilità del progetto di sostenibilità al General Counsel può quindi essere una scelta, basta che non si tratti di una scelta dettata da una mancanza di altri “volontari” e la cartina di tornasole è presto scoperta. Basta verificare se il General Counsel ha ottenuto un budget per la sostenibilità, separato da quello che già gli compete per le funzioni normalmente svolte, e risorse umane da dedicare alle attività commesse con il progetto di sostenibilità con specifiche competenze professionali, che come sopra accennato, esulano da quello che è il tradizionale ambito professionale dei legali che lavorano nella direzione legale.
A favore della decisione di affidare la responsabilità del progetto di sostenibilità al General Counsel resta comunque la “trasversalità” della direzione legale di cui ho detto in precedenza che una “Unità di Sostenibilità” creata ad hoc e del tutto autonoma certamente non ha (e in effetti certamente, almeno nella mia esperienza, l’Unità di Sostenibilità si appoggiava assai alla competenza ed esperienza della direzione legale).