22 Ottobre 2018

La diversa diffusione dei modelli di organizzazione: piccole e grandi imprese a confronto

SIMONE LONATI

Immagine dell'articolo: <span>La diversa diffusione dei modelli di organizzazione: piccole e grandi imprese a confronto</span>

Abstract

La dimensione di una impresa incide fortemente sulla scelta di dotarsi di un modello di organizzazione e gestione ai sensi del D.lgs. 231/01. Le piccole imprese, infatti, sottovalutano spesso i benefici derivanti dall’adozione di tale presidio organizzativo spaventati (soprattutto) dai costi connessi alla sua attuazione ed implementazione.

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Una recente indagine condotta da Confindustria in merito al livello di diffusione presso le piccole e medie imprese dei modelli di organizzazione e gestione (MOG) redatti ai sensi del d.lgs. 231/01 ha rivelato un quadro per alcuni aspetti non confortante ma certamente prevedibile.

É emerso, infatti, non solo che la variabile dimensionale incide fortemente sulla scelta di una impresa di dotarsi o meno del MOG (dal campione analizzato risulta che tutte le società con meno di 10 dipendenti sono prive di modello organizzativo e tra quelle con meno di 2 milioni di euro di fatturato ne è dotata solo una su sette) ma che le società medio-piccole non credono, quantomeno fino alla concreta adozione del modello, nell’efficacia di tale strumento ai fini della prevenzione della commissione dei reati.

Significativo, a tal proposito, è il registrato incremento, tra le piccole e medie imprese, dell’adozione del modello 231 soltanto dopo l’introduzione nel catalogo dei reati presupposto dei delitti colposi in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L’adozione del MOG, quindi, non sembrerebbe essere dipesa dalla fiducia riposta dalle società nell’efficacia preventiva di tale strumento, quanto piuttosto dalla percezione di un aumento del rischio di avvio nei loro confronti di un procedimento penale e della consapevolezza che la predisposizione e attuazione del modello organizzativo può scongiurare le altrimenti inevitabili conseguenze sanzionatorie derivanti da una contestazione in sede penale.

Alla base della scelta di non dotarsi di un modello si pongono sia i costi di attuazione che, con riguardo a strutture organizzative poco complesse, non sempre sembrano giustificare eccessivi impegni economici, sia la complessità della normativa sia, infine, lo scarso riconoscimento dell’idoneità dei MOG da parte dei giudici. In realtà i benefici derivanti dall’adozione di un modello sono indubbi e ripagano, nel lungo periodo, l’eventuale sforzo economico collegato all’attuazione dei presidi organizzativi dettati dal d.lgs. 231/01.

Ben diverso, invece, il quadro che emerge con riferimento alle società di grandi dimensioni. Nel 2008, vale a dire già pochi anni dopo l’introduzione del d.lgs. 231/01, uno studio condotto da Assonime rivelava l’elevato livello di adeguamento di tali tipologie di imprese alle prescrizioni del richiamato decreto, confermando altresì la tendenza di quelle medio-piccole a non dotarsi di alcun modello organizzativo.

A fronte di tali divergenze, diventa necessario ragionare o sull’opportunità di differenziare l’assetto normativo del d.lgs. 231/01 variandolo in relazione alle dimensioni degli enti o, in alternativa, sensibilizzare le piccole e medie imprese sui reali benefici, anche a lungo termine, derivanti dall’adozione dei modelli organizzativi.

É sbagliato e assai limitante, infatti, ravvisare quale unico beneficio derivante dall’adeguamento alla disciplina del d.lgs. 231/01 quello collegato all’esclusione o mitigazione della responsabilità amministrativa da reato dell’ente nei termini previsti dagli artt. 6 e 7 del citato decreto. Vi sono, a ben vedere, molti ulteriori benefici – spesso sottovalutati o nemmeno contemplati dagli imprenditori – derivanti dall’adozione di un modello 231 e rispetto ai quali forse varrebbe la pena sensibilizzare le piccole e medie imprese.

Si pensi, ad esempio, a un miglioramento dell’efficacia nella gestione dell’ente conseguente alla predisposizione di procedure organizzative interne e all’adozione di norme di buona condotta; all’inevitabile rispetto di normative correlate, quali quelle sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, che tutela indirettamente dall’insorgere di problematiche di altra natura; o, ancora, alla diffusione di una cultura della responsabilità e della prevenzione all’interno dell’ente (di cui è corollario la recente introduzione della disciplina del whistleblowing) che si riflette, nel lungo periodo, sull’immagine dell’azienda.

Inoltre, l’adozione del modello – in quanto rientrante tra i criteri di valutazione del “rating di legalità” di una impresa – agevola l’accesso ai finanziamenti pubblici e al credito bancario oltre a costituire, in molti casi, criterio imprescindibile per la partecipazione ai bandi di gara indetti dalla Pubblica Amministrazione: emblematici, in tal senso, i provvedimenti assunti dalle regioni Calabria e Lombardia – rispettivamente nel 2008[1] e 2010[2] -  con i quali è stata sancita l’obbligatorietà dell’adozione del MOG per gli enti che vogliono contrattare con la regione o che operano in regime di convenzione con la stessa.

Al contrario, la mancata adozione del MOG può determinare conseguenze pregiudizievoli non solo per la società ma anche per i suoi amministratori: nel corso degli anni si sono registrate condanne di tipo risarcitorio in capo agli amministratori per mala gestio della società che «non abbia adottato o non abbia proposto di adottare un modello organizzativo»[3].

Proprio in ragione dei descritti benefici per gli enti e dell’avvertita opportunità di garantire l’applicazione della disciplina dettata dal d.lgs. 231/01, nel luglio 2018 è stato presentato in Senato un disegno di legge finalizzato a introdurre per le società che abbiano riportato un attivo d’esercizio non inferiore a € 4.400.000 o per quelle si trovino in una posizione di controllo ai sensi dell’art. 2359 c.c. l’obbligo di approvare il modello di organizzazione e gestione[4].

Tale proposta, se approvata, riguarderebbe comunque solo enti di determinate dimensioni, lasciando immutata la situazione delle piccole e medie imprese (vale a dire proprio quel “segmento” imprenditoriale ad oggi meno propenso a adeguarsi alla disciplina del d.lgs. 231/01).

In attesa di un intervento legislativo pensato in un’ottica di semplificazione della normativa e di un suo adeguamento anche alle piccole realtà imprenditoriali (con un necessario abbattimento dei costi di attuazione della disciplina), rimane, quindi, importante assumere iniziative volte a sensibilizzare gli enti sull’effettiva utilità dell’adozione di un modello organizzativo, nel breve e nel lungo termine, come strumento sia di prevenzione dei rischi (non da ultimo quelli corruttivi) che di buon governo dell’impresa.

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[1] Legge Regione Calabria n. 15 del 21 giugno 2008 il cui art 54 comma 1 recita: «le imprese che operano in regine di convenzione con la Regione Calabria sono tenute ad adeguare, entro il 31 dicembre 2008, i propri modelli organizzativi alle disposizioni, di cui al d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, recante la “disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società, e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300”, dandone opportuna comunicazione ai competenti Uffici Regionali».

[2] Decreto n. 5808 dell’8 giugno 2010 rubricato “Approvazione dei requisiti e delle modalità operative per la richiesta di iscrizione all’albo regionale degli operatori pubblici e privati per i servizi di istruzione e formazione professionale e per i servizi al lavoro in attuazione della D.G.R.N. n. VIII DEL 23 DICEMBRE 2009” che sancisce i seguenti termini ed incombenze: entro il 31 dicembre 2010 adozione del Codice Etico, nomina dell’ODV e comunicazione alla Regione Lombardia; entro il 31 marzo 2010 adozione del modello organizzativo ai sensi del D.lgs. 231/01 e comunicazione alla Regione Lombardia.

[3] In tal senso: Tribunale di Milano, Sezione VIII Civile, 13 febbraio 2008 n. 1774.

[4] Disegno di Legge d’iniziativa dei senatori Valente, Cucca, D’Alfonso, D’Arienzo, Fedeli, Giacobbe, Malpezzi e Rampi in tema di “Modifica al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle società di capitali, cooperative e consortili”.

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