***
Avete visto “Duel”, il film che ha reso celebre Steven Spielberg?
La storia è di una semplicità sconcertante: un commesso viaggiatore che va in automobile si trova invischiato senza alcun motivo in un duello mortale (all’ultimo sangue) con uno sconosciuto che, alla guida di un grosso camion, cerca di tamponarlo. Ben presto si acquisisce la consapevolezza che si tratta di un duello totalizzante, definitivo.
L’intera esistenza dei due contendenti è racchiusa in quella sfida, che finirà soltanto con la morte di (almeno) uno di loro. Questo appare chiarissimo dopo poche scene.
E ben presto nessuno ricorda più la causa che ha scatenato quel duello mortale. Si sa soltanto che da quella sfida dipenderà ogni cosa, ma si ignora del tutto la ragione per la quale quella sfida viene giocata. Non si è più liberi di abbandonare il campo. Il commesso viaggiatore, quando prenderà coscienza della dimensione perversa che quel duello va assumendo, cercherà in ogni modo di sottrarsi al confronto, ma non gli sarà più possibile. La sfida, cioè, vivrà ben presto di vita propria, prescindendo totalmente non soltanto dalla ragione che l’ha scatenata, ma addirittura dalla stessa volontà dei contendenti.
Per inciso, ricordiamo che tutto era nato dal sorpasso che il commesso viaggiatore aveva effettuato ai danni del camion che procedeva lento lungo una strada deserta. Da quel momento in poi, il camion non darà più tregua all’automobilista. Lo raggiungerà se questo andrà di corsa, lo aspetterà se questo deciderà di fermarsi.
Ecco, la sensazione è proprio quella di trovarsi nel bel mezzo di un incubo senza sapere come uscirne, perché in fondo non esiste una vera ragione per la quale ci si trova là dentro.
Questo film cult degli anni Settanta è molto istruttivo, perché disegna in maniera perfetta l’orizzonte psicologico che certe controversie giudiziali assumono col passar del tempo, quando la causa si trasforma in sfida e rappresenta l’unico motivo di vita per i contendenti, quando assorbe ogni loro aspettativa e speranza, quando è impossibile poterne uscire, perfino accettando la sconfitta.
La controversia che diventa sfida è uno strano animale, che presto rischia di vivere di vita propria, secondo una volontà indipendente da quella delle parti, le quali troveranno sempre delle ottime ragioni per alimentare questa bestia immonda, assecondando logiche che verranno puntualmente giustificate, ma che - alla fin fine - sono le classiche “questioni di principio”.
Pensate solo ai condomìni, palcoscenici ideali per duelli di questo genere!
Se la sfida si scatena, verrà alterata per sempre ogni più elementare proporzione tra causa ed effetto, tra azione e reazione, tra costo e beneficio. Si penserà solo a portare a termine vittoriosamente quel duello, anche se l’avversario non avrà un volto (come l’autista del famoso camion), anche se la faccenda finirà coll’assorbire ogni energia e anche se si tratterà di un gioco suicida.
E questo accade per il fatto che il duello - proprio come ogni fenomeno di natura - segue leggi fisiche di cui bisogna acquisire consapevolezza. Già il Libro dei Proverbi, migliaia di anni fa, lo diceva chiaramente: “sbattendo il latte ne esce la panna, premendo il naso ne esce il sangue e spremendo la collera ne esce la lite”.
E poi, diciamocelo senza tanti giri di parole, siamo davanti alla più antica e solida motivazione dell’agire umano (non sufficientemente studiata, peraltro), quella che in siciliano si chiama “currìu” e che in lingua italiana, con una certa approssimazione, può tradursi col termine “dispetto”.
‘U currìu, come tutte le persone di buona volontà sanno (o dovrebbero sapere), ha una tale forza intrinseca che si giustifica da se medesimo, basta a se stesso e non necessita di ulteriori argomenti che lo motivino. ‘U currìu, in altri termini, costituisce di per sé ragione sufficiente per porre in essere comportamenti diretti contro gli altri al solo scopo di determinarne il fallimento. Non è indispensabile che il destinatario dell’azione di currìu sia un nemico o che dalla suddetta azione si possa ricavare una qualche utilità. Anzi, ‘u curriu ama dispiegare i suoi effetti devastanti anche nei confronti delle persone amiche. ‘U currìu, giova ripeterlo, è di per sé ragione sufficiente e compiuta per sabotare il prossimo.
Si comprende agevolmente che ‘u currìu costituisce l’esatto contrario dell’amore. Spesso si crede - sbagliando - che l’opposto dell’amore sia l’odio, ma non è così: è ‘u currìu. Si tratta, infatti, degli unici due moti dell’animo umano che sono del tutto gratuiti, per definizione. Infatti, se non fossero gratuiti, semplicemente non esisterebbero. L’amore o è gratuito, o non è. Così pure ‘u currìu, se fosse giustificato da qualcos’altro, non sarebbe currìu. Sarebbe odio magari, o vendetta o quel che diavolo volete. Ma non certo currìu, il quale non ha altra fonte giustificativa al di fuori di sé.
E quindi, per farla breve, Duel ha il merito di aver rappresentato plasticamente il paradigma del currìu, mostrando al mondo intero la sua nobile struttura, la sua forza, la sua imprescindibile connessione col mondo della Giustizia.