21 Giugno 2021

Il General Counsel è ancora “solo” un General Counsel? Non per il Financial Times

GIACOMO GIUDICI

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Abstract

Il General Counsel è ancora “solo” un General Counsel? La domanda se l’è posta niente di meno che il Financial Times. E la risposta è negativa: al punto che, provocatoriamente, da Londra chiedono di cambiare il titolo, proponendo “Chief Purpose Officer”. Perché i giuristi d’impresa sono sempre meno “legali interni” e sempre più manager, soprattutto in ambito ESG.

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Il General Counsel post-COVID è ancora un General Counsel?

Che i legali interni di un’azienda, a partire dal General Counsel, siano sempre meno dei consiglieri tecnici e sempre più dei business partner, è un concetto che si sente ormai da qualche anno. A far fare il salto di qualità e concretezza a questa affermazione di principio è appena arrivato un articolo del Financial Times, che apre una serie di contenuti dedicata proprio agli avvocati in-house.

Il titolo dell’articolo non potrebbe essere più diretto. Tradotto dall’inglese: “La qualifica di ‘General Counsel’ ha ancora un senso?”. Alla base non c’è la volontà di sminuire l’impatto dei giuristi d’impresa a capo delle direzioni legali. Al contrario: l’FT prende atto che essi hanno ormai definitivamente abbandonato il ruolo (già non semplice) di giuristi per diventare molto di più.

Nell’era dello stakeholder capitalism -il capitalismo che genera valore diffuso, non solo per gli azionisti- infatti, il General Counsel non può più limitarsi a guidare un “Dipartimento del ‘No’” (sempre definizione dell’FT) che conosce a menadito il quadro legale in cui deve operare l’azienda e si occupa di evitare rischi non necessari senza guardare mai fuori dal proprio rigido perimetro di azione.

Deve quindi ripensare il proprio ruolo in maniera proattiva: proporre scelte strategiche, contribuire alla definizione dell’agenda ESG dell’azienda e, coerentemente, dare l’esempio.

Non è un caso che una testimonial di questo piccolo “manifesto” sia Shannon Thyme Klinger, da poco Chief Legal Officer di Moderna. Klinger è convinta che i giuristi d’impresa non debbano solo “indicare” il cambiamento, ma anche catalizzarlo per il modo in cui guidano il proprio dipartimento: e lo ha fatto, quando era a Novartis, lanciando (febbraio 2020) un “Preferred Firm Program for legal services” che ha introdotto criteri decisamente avanzati per l’acquisto dei servizi legali, privilegiando quegli Studi che possono concretamente dimostrare gender equality al loro interno.

La prova della supply chain? Non dimentichiamo il legal procurement

Già, perché il monitoraggio della qualità -anche e soprattutto ESG- della supply chain è una delle aree in cui la leadership dei giuristi d’impresa può fare più la differenza. È di nuovo il Financial Times ad affermarlo perentoriamente: un altro articolo della citata serie sugli in-house si intitola (di nuovo tradotto) “Come gli avvocati stanno pulendo le catene di fornitura”.

Diversi tipi di Procurement, giustamente da “attenzionare”, citati -minerali e legname tra gli altri- ma per chiudere il cerchio, anche con quanto detto da Klinger, ne manca uno: proprio il legal procurement di cui i General Counsel sono più da vicino responsabili.

Da anni, 4cLegal sostiene che il metodo e la qualità del legal procurement siano una cartina di tornasole estremamente significativa per valutare la Governance di un’azienda. Un numero sempre maggiore di elementi punta in questa direzione.

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