***
Dove eravamo…
Con le modifiche apportate dall’art. 5 del D.L. n. 34/2019 – rubricato, con termine forse improprio e sicuramente riduttivo, “rientro dei cervelli” – il regime fiscale previsto per i lavoratori “impatriati” viene reso esponenzialmente più vantaggioso ed attraente.
Per meglio cogliere la portata del recente intervento legislativo, vale la pena iniziare con un breve excursus sulla genesi ed evoluzione dell’impianto normativo in materia, introdotto dapprima con L. n. 238/2010 e consistente in una cospicua riduzione (del 70% per i lavoratori e dell’80% per le lavoratrici) della base imponibile per redditi di lavoro o d’impresa, a partire dall’anno di rientro e fino al 31/12/2017, per i lavoratori che rispettassero alcuni specifici requisiti (aver risieduto per 2 anni in Italia prima di trasferirsi all’estero; aver risieduto all’estero per almeno 5 anni; essersi laureati e aver svolto attività lavorativa o imprenditoriale all’estero per 24 mesi o aver studiato in un paese estero per 24 mesi conseguendo un titolo accademico; aver trasferito la residenza anagrafica in Italia entro 3 mesi dall’assunzione o dall’avvio dell’attività; lavorare in Italia sotto forma di lavoratori dipendenti, autonomi o come imprenditori).
Il beneficio era stato poi rimodulato nel 2015, con una sensibile riduzione del beneficio (riduzione della base imponibile inizialmente del 30%, poi estesa al 50%), per il periodo d’imposta dell’anno di rientro in Italia e per i 4 anni successivi; scomparso il requisito della laurea, veniva invece previsto che il lavoratore svolgesse in Italia funzioni direttive e/o fosse in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione, che si impegnasse a rimanere in Italia per almeno 2 anni successivamente al trasferimento e che, per i lavoratori dipendenti, l'attività lavorativa fosse svolta presso un’impresa residente in Italia in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa (o altrimenti con società controllanti o controllate dalla medesima).
La nuova disciplina
Le modifiche introdotte dal Decreto, come anticipato, aumentano sensibilmente la vis attrattiva per i soggetti, italiani o stranieri, che intendano trasferirsi in Italia per svolgere attività lavorativa o imprenditoriale.
In sintesi, rispetto al quadro normativo precedente:
- La base imponibile è ridotta del 70% (anziché del 50%) e addirittura del 90% per i soggetti che trasferiscano la propria residenza nelle regioni del Sud e Isole;
- La durata del beneficio è confermata in 5 anni, ma viene incrementata a 10 anni per i soggetti con almeno un figlio minorenne a carico o che diventino proprietari di un immobile residenziale in Italia successivamente al trasferimento o nei 12 mesi precedenti – in questo caso, la riduzione della base imponibile è pari al 50% nella generalità dei casi e al 90% per i lavoratori con almeno 3 figli minorenni o a carico o nell’ipotesi di trasferimento in regioni del Mezzogiorno;
- Scompare, per i cittadini italiani e dell’Unione Europea, qualsiasi riferimento a titoli di studio, mansioni direttive o requisiti di elevata specializzazione o qualificazione;
- Per i cittadini provenienti da Stati extra-UE la norma trova applicazione a condizione che provengano da uno Stato con il quale sia in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni e che si tratti di lavoratori in possesso di diploma di laurea e che abbiano svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi, ovvero abbiano svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un diploma di laurea o una specializzazione post lauream;
- Il periodo di necessaria residenza all’estero prima del rientro (o primo ingresso) in Italia viene ridotto da 5 a 2 anni;
- Scompare il riferimento alla necessità, per i lavoratori subordinati, che l’attività sia svolta presso un’impresa residente in Italia;
- Viene espressamente prevista la non obbligatorietà dell’iscrizione all’AIRE ai fini della prova della residenza all’estero, purchè il lavoratore sia stato residente in un altro Stato con cui è in essere una convenzione contro le doppie imposizioni nei due periodi d'imposta precedenti il trasferimento.
La nuova disciplina troverà applicazione, anche con riferimento ai redditi d’impresa prodotti da un soggetto che abbia avviato un’attività d’impresa in Italia, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019; in altri termini, in base alla definizione di "residenza fiscale" prevista dall'art. 2 del TUIR, che prevede la necessità di essere residenti in Italia per la maggior parte del periodo di imposta per essere considerati fiscalmente residenti in Italia, la nuova disciplina sarà applicabile a beneficio dei soggetti che trasferiranno la residenza in Italia successivamente al 3 luglio 2019, sempre relativamente ai redditi percepiti a partire dal 1 gennaio 2020. Di conseguenza, eventuali redditi conseguiti in Italia nel corso del 2019 da parte di questi lavoratori saranno soggetti a tassazione ordinaria.
I chiarimenti dell’Agenzia
L’Agenzia delle Entrate, con due risposte ad altrettanti interpelli del 28 giugno u.s., ha da ultimo ulteriormente precisato i requisiti per l’applicabilità del regime agevolato, chiarendo che:
- la residenza all'estero del lavoratore può essere provata, anche in assenza di iscrizione all'AIRE, in base all'applicazione dei criteri disposti dalle convenzioni contro le doppie imposizioni (interpello n. 216/2019);
- per il lavoratore che consegue un titolo di laurea o una specializzazione post lauream all’estero, il requisito minimo di residenza all’estero è fissato a due periodi di imposta (interpello n. 217/2019).
Il presente articolo è stato redatto con la collaborazione di Lorenzo Dani, Consulente del Lavoro.