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La materia concorsuale, come è noto, sta vivendo ormai da molti anni un periodo di assestamento che ha fatto seguito a numerose riforme intervenute a partire dal 2005. Per molti versi si può sostenere che la disciplina fallimentare abbia attraversato in questo periodo una vera e propria crisi di identità.
Al termine di questa travagliata fase di mutamento si colloca necessariamente l’emanazione del d.lgs. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa), recentemente emendato dal suo primo decreto correttivo, la prima vera riforma organica della disciplina concorsuale dal varo della Legge Fallimentare nel 1942.
L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha spiegato i suoi effetti sul processo di riforma in atto, che come noto ha il suo aspetto più qualificante nella assoluta valorizzazione di meccanismi di allerta e prevenzione, che dovrebbero consentire di gestire le crisi in forma tempestiva.
L’ultimo ritocco in ordine temporale è stato operato con la legge 27 novembre 2020, n. 159 pubblicata in G.U. il 3 dicembre 2020 ed in vigore dal giorno successivo, che ha apportato alla Legge Fallimentare modifiche in materia di omologazione dei concordati preventivi, degli accordi di ristrutturazione dei debiti e in materia di trattamento dei crediti fiscali e previdenziali.
Questa normativa ha inciso sugli artt. 180, 182-bis e 182-ter L. Fall. sostanzialmente anticipando alcune previsioni contenute nel Codice della crisi: con una condotta che pare, per certi versi, sicuramente ondivaga ma che ben rappresenta il momento di incertezza in cui viviamo.
Le modifiche agli artt. 180 e 182-bis L. Fall.
La prima sensibile modifica che la novella ha portato con sé è stata l’introduzione dell’ultimo periodo del quarto comma dell’art. 180 L. Fall.
Nella sostanza è ora previsto che il Tribunale possa superare il mancato voto dell’Amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali quando questo sarebbe stato determinante nel raggiungimento delle maggioranze, a condizione che il professionista attestatore certifichi il trattamento delle rispettive pretese creditorie in misura non deteriore rispetto a quanto avverrebbe nella procedura fallimentare e che il Tribunale condivida questa conclusione.
Tale previsione introduce come accennato una disposizione già contenuta nel Codice della crisi, all’art. 48, 5° comma ed estende nell’attuale sistema di omologazione dei concordati il cd. giudizio di cram down anche all’amministrazione finanziaria e agli enti previdenziali.
Con questa nuova disposizione – applicabile anche alle procedure prendenti[1] non omologate alla data del 4 dicembre 2020 – la palla passa al Tribunale che, in sede di omologazione, potrà ugualmente dare il via alla fase esecutiva del concordato qualora ritenga, con l’ausilio delle risultanze dell’attestazione, che il trattamento riservato a questi soggetti pubblici non sia deteriore rispetto alla liquidazione (ancora per poco) fallimentare.
Al medesimo scopo è votata la disposizione che modifica l’art. 182-bis L. Fall. introducendo la possibilità per il Tribunale di omologare l’accordo di ristrutturazione anche in mancanza di adesione dell’Erario e degli enti previdenziali quando questa mancata adesione sia stata determinante per il raggiungimento delle maggioranze stabilite al primo comma della medesima disposizione e l’attestatore certifichi che il trattamento dei crediti fiscali e previdenziali non risulta deteriore rispetto a quanto si verificherebbe nello scenario fallimentare.
Si tratta, in buona sostanza, della modifica speculare per il secondo strumento di superamento della crisi utilizzato nella prassi. Anche in questo caso, in ausilio alla valutazione del Tribunale, soccorrerà la relazione del professionista attestatore, forse il soggetto che risulta maggiormente toccato da queste innovazioni. In questo senso sono i primi commenti alla riforma, i quali sottolineano il ruolo di rinnovata responsabilità dell’attestatore.
La transazione fiscale
L’ultimo istituto ad essere interessato dalle modifiche è quello della transazione fiscale, disciplinato dall’art. 182-ter L. Fall. Anche in questo caso l’intervento del legislatore si è limitato ad anticipare l’entrata in vigore di quanto previsto nel Codice della crisi, all’art. 88; in particolare:
- da un lato, inserendo al primo comma la precisazione che il credito tributario o retributivo chirografario non possa trovare soddisfazione in misura inferiore agli altri crediti che siano chirografari anche a seguito di degradazione per incapienza;
- dall’altro lato, modificando il quinto comma dell’art. 182-ter L. Fall., con la previsione che, nelle trattative antecedenti la presentazione di un accordo di ristrutturazione, sia preciso onere del professionista indipendente attestare la convenienza del trattamento proposto per i crediti tributari e contributivi rispetto all’alternativa liquidatoria e che tale punto sia oggetto di specifica valutazione (e motivazione) da parte del tribunale in sede di omologazione.
Da questo punto di vista, l’intento del legislatore è assolutamente manifesto: nell’ambito di un istituto che frustra economicamente gli interessi dell’Erario dello Stato e degli enti previdenziali, si è inteso imporre a carico dell’attestatore e del Tribunale un onere di adeguata verifica, anche in termini motivazionali, sul fatto che proprio il trattamento prefigurato dal debitore realizzi la migliore soddisfazione possibile rispetto alla liquidazione fallimentare.
[1] Sul funzionamento del disposto Tempus regit actum in materia concorsuale si v. Cass. 24 giugno 2016, n. 13165.