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Come operano le applicazioni integrate
Integrare applicazioni software significa adottare un insieme di tecniche che consentano di collegare diversi tipi di software, di metterli in contatto, di farli “parlare”.
Un’applicazione software per essere integrabile deve avere anzitutto ciò che si definisce un’interfaccia, ovvero un punto di collegamento con l’esterno per ricevere e trasferire informazioni. Ad esempio, i punti in cui si collegano i cavi USB sono un’interfaccia che consente ad un personal computer di parlare con una stampante o con altri dispositivi.
Le informazioni che transitano dalle interfacce di un’applicazione software devono essere gestite da una parte dell’applicazione stessa che le organizza e le coordina, indirizzandole o prelevandole da utenti diversi o da altre parti dell’applicazione.
Lo scambio di dati ed informazioni, siccome è tipicamente rivolto verso altre applicazioni esterne, deve necessariamente essere assoggettato ad una gestione di autenticazioni e autorizzazioni, ovvero deve essere gestito in sicurezza.
Il concetto di integrazione è alla base del concetto di interoperabilità tra i sistemi, definito dal European Interoperability Framework (EIF) come "la capacità dei sistemi di tecnologia dell'informazione e della comunicazione (ICT), e dei processi aziendali che questi supportano di scambiare dati che abilitano la condivisione di informazioni e conoscenze".
Il risultato dell’interoperabilità tra i sistemi è quello di integrare diversi tipi di software, che offrono diverse funzioni, riducendo al minimo la necessità di intervento operativo sul singolo applicativo, evitando così duplicazioni di informazioni o di attività. Grazie a questo, l'estensione delle singole applicazioni e la relativa manutenzione possono essere gestite con costi e sforzi ottimizzati, nel complesso più limitati ed efficaci.
Quindi, grazie all’interoperabilità è possibile avere diverse applicazioni software, ciascuna specializzata in un proprio ambito, così che una singola operazione non deve essere in grado di fare tutto: se occorre applicare un processo o una procedura specifica, la si potrà richiedere all’applicazione delegata, comunicandogli i dati, evitando così di reimmetterli più volte in ciascuna applicazione. Quindi, dal punto di vista dell’utente finale, il primo grande vantaggio dell’interoperabilità è quello di poter evitare di reimmettere i dati più volte, evitando quindi errori ed abbattendo le perdite di tempo da lavoro ripetuto, abbassando i tempi grazie alla istantaneità della comunicazione.
I vantaggi dell’interoperabilità sono molteplici: scalabilità (possibilità di aggiungere prestazioni ai programmi all’occorrenza), robustezza (maggior resistenza ai problemi), modularità, manutenibilità, economicità, efficacia, efficienza, flessibilità, trasparenza.
Volendo focalizzarsi sui benefici per l’utilizzatore finale, un elemento di estremo interesse prodotto dall’interoperabilità è, come detto, l’abbattimento dei tempi di inserimento dati, evitando duplicazioni e ripetizioni. Siccome il beneficio è fortemente correlato con il contesto, non è possibile quantificarlo con un dato assoluto. Ad esempio, ci sono casi dove l’operatività umana è dimezzata. Dal punto di vista teorico, ci sono formule matematiche che forniscono una misurazione secondo la quale grazie all’interoperabilità, ovvero alla possibilità di due o più soggetti di comunicare scambiandosi informazioni, l’utilità ed il valore prodotto in termini di efficienza aumenta con progressione da geometrica ad esponenziale, in dipendenza della tipologia di comunicazione ed in funzione del numero di applicativi che partecipano alla rete (leggi di Metcalfe e di Reed).
I software legali integrati
Nel contesto dei software legali, con particolare riferimento al recupero crediti ma non solo, gli attuali sistemi gestionali rivolti al controllo del flusso di lavoro delle pratiche possono trarre benefici dall’interoperabilità con sistemi specializzati per svolgere funzioni differenti ed evolute: integrazione con sistemi di conservazione; integrazione con sistemi di firma digitale remota o di gestione dell’identità digitale (SPID) al fine di conferire valore legale alle transazioni documentali; invio automatizzato di PEC con metadati accompagnatori per la gestione del Processo Telematico; applicazione di tecniche di intelligenza artificiale per l’analisi di sentenze o per il reperimento di informazioni dagli archivi di giurisprudenza; integrazione con i sistemi di pagamento. Tutte queste integrazioni sono già oggi fattibili con tecniche e tecnologie di gestione dell’informazione che possiamo considerare consolidate.
L’elemento di interfaccia che tuttavia può essere determinante è quello con il cliente: si pensi alla possibilità di poter raccogliere in modo digitale le informazioni direttamente alla fonte, effettuandone la verifica immediata con controlli automatizzati, consentendo al cliente di operare quando gli è più comodo o nel momento in cui dispone delle informazioni già riordinate a cura dal cliente stesso; in altri termini, si pensi ad un front-end di interfaccia con il cliente, un ufficio relazioni con il pubblico aperto 24 ore al giorno. Anche questa è un’interfaccia, tecnicamente e propriamente detta interfaccia utente, che è forse data come scontata ma che – se coordinata con un’interfaccia verso gli operatori di Studio, nonché se integrata con altri sistemi di studio, può portare ad una riduzione dei tempi sia di durata che di gestione di una pratica che possono essere determinati in un contesto dove la velocità a volte fa la differenza tra una vittoria ed una sconfitta, come c’è nel caso del recupero crediti.
Il concetto di interoperabilità e di integrazione tra software applicativi che possono essere utilizzati per interfacciare Cliente e Studio Legale può essere un elemento chiave di innovazione. Tecniche, tecnologie e prodotti che implementano questo paradigma già sono presenti e disponibili sul mercato, per chi fosse interessato o per chi fosse operativo su queste tematiche, si consiglia un approfondimento.