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Avvocato Lavanga, la sessione mattutina dell'evento ha visto anche una tavola sulle PMI. Qual è, secondo lei, l'approccio che devono avere queste ultime rispetto alle operazioni di M&A?
Le PMI costituiscono il segmento industriale prevalente del tessuto economico-imprenditoriale nazionale. Con i necessari distinguo si caratterizzano per il forte legame tra impresa e famiglia, tanto da essere considerate un bene da tramandare di padre in figlio. Anche per questo motivo, le operazioni di M&A non sono sempre agevoli in questo segmento: anzi, nel passato sono state viste con grande scetticismo da parte della classe imprenditoriale.
Il trend, però, grazie ai risultati raggiunti attraverso le operazioni straordinarie, è sempre più positivo. Stiamo assistendo, infatti, ad una evoluzione dell’idea di impresa che viene concepita sempre di più come un progetto per creare valore e che, attraverso le operazioni straordinarie, riesce a massimizzare le proprie potenzialità di sviluppo, crescita economica e le performance, anche se questo può condurre alla fuoriuscita dell’imprenditore..
Nel momento storico che stiamo vivendo e in cui la pandemia da Covid-19 sta incidendo sull’economia generale ed in particolare su quella delle PMI (sia positivamente, per quelle aziende che già operavano in settori strategici o per quelle sono riuscite a invertire tempestivamente le produzioni; sia negativamente, per le tante aziende che hanno subito un rallentamento o la sospensione a causa della normativa emergenziale) l’approccio alle operazioni di M&A deve essere guidato sia dalle opportunità sia dai rischi. È incoraggiante che nel corso del 2020 il maggior numero di M&A portato a termine su territorio nazionale abbia riguardato proprio le piccole e medie imprese.
Altra discussione ha riguardato i vecchi e nuovi paradigmi per stimare il valore delle società target. Nel caso delle PMI secondo lei c'è qualche trend nuovo che sta emergendo?
Negli anni abbiamo assistito all’affermazione ed al superamento di vari metodi e modelli valutativi volti alla stima delle società. Si è passati dal metodo patrimoniale a quello reddituale, per giungere a quello misto (patrimoniale -reddituale) e poi a quello finanziario, che è sicuramente il più utilizzato nella prassi, ed infine a quello definito “dei multipli di mercato”.
Spesso si verifica che il prezzo di vendita di un’azienda risulta diverso dal suo effettivo valore e ciò non solo per il diverso metodo adottato per la stima o come conseguenza delle informazioni messe a disposizione degli advisor, che possono incidere sulle analisi, ma anche per l’attenzione riposta su una serie di altri elementi.
Quanto detto vale anche e soprattutto per le PMI, il cui valore è sensibilmente legato al know-how dell’imprenditore e degli addetti più che ai dati puramente e prettamente finanziari. Il trend, per la stima delle PMI, soprattutto nel caso di interesse da parte di acquirenti industriali esteri, è una valorizzazione massima del c.d. Made in Italy, della conoscenza e della realizzazione dei processi industriali e del marchio.
Questi elementi, insieme anche all’adozione di politiche green e di digitalizzazione, costituiscono sicuramente un tassello positivo per le PMI interessate da operazioni di M&A che, di conseguenza, riescono a spuntare un valore stimato sensibilmente maggiore a quello emerso dall’analisi strettamente economica/finanziaria.
Lei e il suo Studio avete esperienza nelle operazioni di M&A riguardanti le PMI? Ci può descrivere un caso interessante che avete affrontato?
Un caso interessante di M&A relativa a PMI che ho seguito di recente unitamente al mio collega di studio, Nicola Lucarelli, riguarda la fusione per incorporazione tra due società di primario riferimento nazionale nel campo dell’abbigliamento e della moda con compagine parzialmente identica.
La fase preparatoria è stata curata in piena emergenza epidemiologica ed è stata caratterizzata dalle tempistiche alquanto dilatate delle attività a causa appunto della pandemia in atto e della normativa emergenziale che si è susseguita.
L’operazione di fusione, come dicevo, ha comportato l’estinzione della società incorporata ed il successivo subentro, da parte della incorporante, nei beni, nei diritti e negli obblighi già in capo all’incorporata.
La fusione oltre ad aver comportato una crescita dimensionale dell’incorporante, ha reso necessarie delle modifiche di natura organizzativa, patrimoniale/finanziaria, influenzando piani e programmi aziendali sia a breve che a medio-lungo termine.
Di particolare interesse risultavano essere le motivazioni che hanno portato alla fusione de quo da individuarsi nel migliore utilizzo e sfruttamento degli impianti e delle attrezzature che, pur facenti capo all’incorporante ben prima della fusione, necessitavano del personale dipendente altamente qualificato di cui disponeva l’incorporata.