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Cosa si intende per private enforcement antitrust?
In via preliminare, è bene ricordare che il sistema di applicazione del diritto antitrust si basa su un doppio binario di tutela, definito dal public e dal private enforcement. Entrambi sono stati ideati con lo scopo di preservare il mercato unico da comportamenti distorsivi della concorrenza, fra cui le intese e l’abuso di posizione dominante di cui agli artt. 101 e 102 TFUE (corrispondenti agli artt. 2 e 3 della l. 10 ottobre 1990, n. 287).
Il public enforcement è il canale pubblicistico, affidato alla Commissione europea e alle Autorità garanti nazionali (fra cui, in Italia, l’AGCM).
Il private enforcement, invece, è il canale privatistico, costruito sulle iniziative dei privati, ossia imprese e consumatori. Essi sono stati dotati della facoltà di adire l’autorità giudiziaria ordinaria nel caso in cui i loro diritti vengano lesi da un comportamento contra legem posto in essere da una società. Nel dettaglio, essi possono:
- richiedere l’accertamento di una condotta anticoncorrenziale e la sua inibizione;
- richiedere la dichiarazione di nullità di una condotta anticoncorrenziale;
- richiedere l’emanazione di provvedimenti cautelari;
- agire per ottenere una tutela risarcitoria.
Le fonti del diritto in materia di private enforcement
Chiarito cosa si intende per private enforcement, è necessario vagliare i testi legislativi, europei e nazionali, elaborati in materia.
A livello sovranazionale, il legislatore è intervenuto solo negli anni più recenti. Egli si è a lungo astenuto dal dettare una normativa in materia in considerazione del fatto che essa esula dalle competenze esclusive dell’Unione europea, rientrando piuttosto tra quelle concorrenti, governate dal principio di sussidiarietà. Può dirsi, quindi, che il private enforcement sia nato e si sia sviluppato grazie all’impulso della Corte di giustizia, la quale si è espressa a riguardo in svariate pronunce che hanno costruito un grande filone giurisprudenziale (si pensi alla sentenza Courage del 20 settembre 2001 o alla sentenza Manfredi del 13 luglio 2006).
L’importanza assunta, man mano, dal tema, ha condotto alla definizione della direttiva 2014/104/UE, entrata in vigore a far data dal 25 dicembre 2014 (nel prosieguo, la Direttiva Danni).
La Direttiva Danni avrebbe dovuto essere recepita dagli Stati membri, al più tardi, entro il 27 dicembre 2016. Eppure, l’Italia ha provveduto a recepirla solo nel 2017, con il d.lgs 19 gennaio 2017, n. 3, entrato in vigore il 3 febbraio 2017 (nel prosieguo, il Decreto).
Il Decreto ha introdotto nel nostro ordinamento una compiuta disciplina per le azioni di risarcimento del danno derivanti dalla violazione del diritto della concorrenza. In primis, esso ha reso competenti a dirimere le controversie, in maniera esclusiva, le Sezioni specializzate di soli tre Tribunali italiani: il Tribunale di Milano, di Roma e di Napoli. In secondo luogo, esso ha disciplinato:
- le azioni avviate dai privati a seguito una decisione della Commissione o dell’AGCM inerente alla fattispecie oggetto del giudizio (c.d. azioni follow on, le più frequenti);
- le azioni avviate dai privati in maniera autonoma, senza avere alla base una pronuncia autoritativa (c.d. azioni stand alone).
Il rapporto fra public e private enforcement: gli effetti delle decisioni della Commissione e delle Autorità garanti nazionali nei procedimenti civili
Per quanto mezzi di tutela indipendenti, il public e il private enforcement sono rimedi complementari, integrati e in forte sinergia tra loro. Ciò è evidente nei giudizi instaurati dinanzi al giudice civile sulla base di azioni follow on. In simili occasioni, il Tribunale adito è vincolato dalle pronunce attestanti una violazione del diritto antitrust emesse dai principali protagonisti del versante pubblicistico.
Invero, da un lato i magistrati non possono disattendere le decisioni della Commissione, il che si pone in linea con il principio del primato che governa i rapporti fra Unione europea e Stati membri. Dall’altro, ai sensi dell’art. 9 della Direttiva Danni, essi sono vincolati anche dalle pronunce delle Autorità garanti domestiche.
In Italia, il contenuto del succitato articolo è stato trasposto all’interno dell’art. 7 del Decreto. Il legislatore italiano, tuttavia, ha apportato una serie di specificazioni al testo originario, con l’intento di limitare l’assoggettamento del giudice ordinario a quella che, di fatto, è una mera pronuncia amministrativa. L’art. 7, per l’appunto, afferma che le decisioni dell’AGCM devono considerarsi vincolanti solamente:
- qualora non siano più soggette ad impugnazione dinnanzi al giudice amministrativo;
- qualora siano state confermate da una sentenza del giudice amministrativo passata in giudicato.
In più, i giudici del ricorso (TAR e Consiglio di Stato) sono stati dotati del potere di verificare i fatti posti a fondamento dell’impugnazione del provvedimento dell’AGCM, oltre alla possibilità di valutare i profili tecnici che non presentano margine di opinabilità.
Considerazioni conclusive: il valore del private enforcement
Il private enforcement, come sopra descritto, ha assunto una rilevanza imprescindibile nel panorama concorrenziale. Il “nuovo” potere dei privati di agire per ottenere un risarcimento del danno rappresenta uno strumento di dissuasione per le imprese, essendo assimilabile ad un’ulteriore sanzione per il loro comportamento scorretto.
Infine, pare opportuno osservare che l’esaminata normativa ha allineato – seppur ancora parzialmente – l’Unione europea alla tradizione giuridica del paese natio del diritto antitrust, gli Stati Uniti d’America. Oltre oceano, infatti, circa il 90% dei procedimenti è attivato su iniziativa dei competitor o dei consumer, da sempre ritenuti maggiormente capaci di ricostruire gli elementi che compongono la fattispecie, essendo investiti in prima persona dagli effetti pregiudizievoli dell’illecito.