27 Luglio 2021

Il problema della schiavitú moderna: l’UE verso una due diligence di impresa in materia di diritti umani

GIOVANNAMARIA SARTORETTO

Immagine dell'articolo: <span>Il problema della schiavitú moderna: l’UE verso una due diligence di impresa in materia di diritti umani</span>

Abstract

La schiavitù moderna, problema attuale per milioni di persone, è tristemente collegata alla catena di approvvigionamento di numerosi settori produttivi. Al contempo, il quadro regolamentare di riferimento a livello sovranazionale non è né chiaro né uniforme, essendo costituito, a livello internazionale, da strumenti non vincolanti e, a livello europeo, laddove esistenti, dalle differenti normative dei singoli Stati. L’UE sta attualmente portando avanti un’importante iniziativa legislativa sul dovere di diligenza delle imprese nell’intera catena di valore  per scongiurare gli impatti negativi delle attività aziendali proprio sui diritti umani oltre che sull’ambiente. L’armonizzazione della legislazione europea potrà peraltro garantire parità di condizioni alle aziende stabilite nel territorio dell’UE o che operano nel mercato interno, scongiurare danni reputazionali e arginare il fenomeno della concorrenza sleale.

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La schiavitù moderna

Secondo un dato del 2016 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) la schiavitù, anche se ufficialmente vietata in tutti gli Stati,  rimane un problema per 40,3 milioni di persone.

Si intende per schiavitù una grave violazione dei diritti umani consistente nel costringere al lavoro mediante inganno, abuso di potere, minaccia o violenze fisiche o psicologiche tanto da arrivare a un rapporto tra datore di lavoro e lavoratore di completo controllo su quest’ultimo.

Nel dibattito pubblico si parla di schiavitù moderna anche per identificare lo sfruttamento lavorativo nelle sue forme più gravi, laddove i lavoratori, pur vivendo in condizioni lavorative degradanti, non sono necessariamente sottoposti ad una soggezione continuativa da parte di chi li sfrutta.

Il problema a livello globale è trasversale a moltissimi settori produttivi quali, per esempio, quello della moda, dell’agricoltura, dell’industria delle costruzioni, dell’industria navale, alberghiera o estrattiva.

Più complessa e frammentata è la catena di approvvigionamento più è difficile rendersi conto delle violazioni anche gravi dei diritti di quei lavoratori che concorrono alla formazione del prodotto finale, situazione messa ancora più a nudo dalla crisi del Covid-19.

D’altra parte riuscire a migliorare e controllare le condizioni lavorative nella filiera può mettere le stesse imprese al riparo da rischi reputazionali, economici e legali in cui è facile incorrere.

L’ONG Sherpa, il collettivo Ethique sur l'Etiquette, l’Istituto Uiguro d’Europa, e una donna uigura rappresentata dallo studio Bourdon & Associés hanno per esempio recentemente accusato Inditex, Uniqlo, SMCP e Skechers, di occultamento di lavoro forzato e di crimini contro l'umanità presentando  il 12 aprile 2021 una denuncia al Tribunale di Parigi.

Le suddette multinazionali sono accusate di usare cotone prodotto nella regione cinese dello Xinjiang con il lavoro forzato degli Uiguri, una minoranza etnica di religione musulmana.

 

Panorama normativo attuale

La complessità del problema è accentuata dall’assenza di un quadro normativo chiaro e uniforme: il dibattito pubblico sorto sin dagli anni Novanta con il diffondersi delle pratiche di delocalizzazione non ha fino ad ora prodotto a livello internazionale strumenti di natura cogente.

Nel 2000 viene lanciato il Global Compact delle Nazioni Unite, iniziativa volontaria di adesione, da parte delle aziende partecipanti, a una serie di principi improntati alla sostenibilità.

Successivamente, nel 2011, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, in attuazione del quadro “Proteggere, rispettare e riparare” promosso nel 2008, ha approvato i “principi guida su imprese e diritti umani” (UNGPs) in cui per la prima volta si parla di due diligence quale processo che include la valutazione dell’impatto dell’impresa sui diritti umani, le misure da adottare in conseguenza, il monitoraggio delle risposte e la comunicazione circa le modalità con cui siffatti impatti sono stati affrontati.

A ciò hanno fatto seguito ulteriori strumenti in ambito internazionale quali, tra gli altri, le linee generali del 2018 dell’OCSE e la Dichiarazione tripartita di principi sulle imprese multinazionali e la politica sociale dell’OIL del 2017, tutti strumenti di natura volontaria.

Dal canto suo l’Unione Europea fino ad ora ha adottato quadri obbligatori in materia di due diligence solo in alcuni settori, definendo gli obblighi degli operatori che commercializzano il legno e i prodotti derivati (Reg. UE 995/2010) e quelli degli importatori dell’Unione di minerali e oro originari di zone in conflitto o ad alto rischio (Reg. UE 2017/821).

Peraltro, anche la legislazione nazionale dei singoli Stati dell’UE sull’impatto delle filiere di approvvigionamento sui diritti umani, laddove esistente, non è uniforme e produce con ciò incertezze regolamentari e vantaggi concorrenziali sleali.

Recentissimamente, il 22 luglio 2021, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Federale Tedesca la Gesetz über die unternehmerischen Sorgfatsplifchten in Lieferketten, normativa sulla due diligence di impresa che si applicherà a partire dal gennaio 2023 alle società che hanno in Germania la sede principale, la sede amministrativa o qualsiasi filiale registrata e almeno 3.000 dipendenti.

Fino a poco tempo fa solo Paesi Bassi e Francia avevano una legislazione vincolante in materia di due diligence.

A differenza della normativa olandese del 2019, tuttavia, incentrata unicamente sul contrasto al lavoro minorile, la Loi de Vigilance del 2017 e la nuova legge tedesca si prefiggono di prevenire e contrastare sia le violazioni dei diritti umani che i danni all’ambiente derivanti dalle attività imprenditoriali, richiedendo alla capogruppo un controllo sui fornitori e sulle società da essa controllate.

 

A livello europeo

Per cercare di uniformare il quadro normativo di riferimento, il 10 marzo 2020 il Parlamento europeo ha approvato con una larga maggioranza (504 voti a favore, 79 contrari e 112 astensioni) una risoluzione denominata “Dovere di diligenza e responsabilità delle imprese” con la quale ha chiesto alla Commissione di presentare una proposta legislativa sull’obbligo di due diligence lungo la catena di valore cioè lungo tutte le attività, le operazioni, i rapporti d'affari e le catene di investimento di un'impresa per scongiurare impatti negativi sia sui diritti umani, che sull'ambiente che sulla buona governance.

L’ambito di applicazione della direttiva è molto ampio, essendo esteso:

  • alle grandi imprese e alle piccole e medie imprese ad alto rischio e quotate in borsa disciplinate dal dritto di uno Stato membro, stabilite nel territorio dell’UE;
  • alle imprese disciplinate dal diritto di un paese terzo e che non sono insediate sul territorio dell’Unione ma che operano sul mercato interno.

Tali imprese dovranno:

  • definire una metodologia di monitoraggio;
  • adottare una strategia di dovuta diligenza (da pubblicare sul sito web della società e da riesaminare almeno una volta l’anno) mappando la catena di valore e indicando, con il coinvolgimento dei portatori di interessi pertinenti, le misure di prevenzione e attenuazione degli impatti negativi anche potenziali;
  • assicurarsi che i rapporti d’affari instaurati siano in linea con la strategia adottata.

In caso di negligenza da parte delle imprese sono previsti meccanismi:

  • per il trattamento di reclami, affinché i portatori di interessi possano avvisare circa i rischi riscontrati;
  • di riparazione extra-giudiziale, consistente in compensazione finanziaria, non finanziaria, reintegro, scuse pubbliche, restituzione, riabilitazione o contributo alle indagini;
  • sanzionatori effettivi, proporzionati e dissuasivi, gestiti dalle autorità nazionali indipendenti responsabili del monitoraggio sull'applicazione della direttiva;
  • giudiziari, quali l’azione di responsabilità civile per qualsiasi danno derivante dagli impatti negativi a meno che l'impresa non dimostri di aver agito con la dovuta diligenza, in linea con la direttiva, per evitare il danno o che quest’ultimo si sarebbe comunque verificato anche se fossero state prese tutte le precauzioni del caso.

La proposta della Commissione era attesa per giugno, ma è stata posticipata al prossimo autunno e sarà al contempo portata avanti non piú solo dal Commissario per la Giustizia Reynders ma anche dal Commissario per il mercato interno Thierry Breton.

 

Disclaimer: quanto espresso rappresenta unicamente il pensiero dell’autrice e non è in alcun modo riferibile a UNHCR.

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