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Dottoressa Sobrero, il termine greenwashing è diventato ormai noto quasi quanto quello di sostenibilità. Se da un lato può rappresentare un clamoroso autogoal presentarsi ecosostenibili quando non lo si è, al tempo stesso le aziende effettivamente attente a questi temi possono imparare a valorizzare al massimo le loro pratiche affinché il mercato le riconosca?
Le imprese che credono nello sviluppo sostenibile stanno rafforzando il proprio impegno per integrare la sostenibilità nei loro piani di sviluppo. Una scelta fatta non solo per adeguarsi a leggi e regolamenti ma per rispondere ai bisogni delle persone e alle richieste di un mercato in rapida evoluzione. Per queste imprese comunicare la sostenibilità rappresenta un asset importante che migliora anche il rapporto con gli stakeholder. È rischioso comunicare l’impegno sociale e ambientale se alle spalle non ci sono azioni concrete: come sappiamo le organizzazioni sono sempre di più “case di vetro” esposte al giudizio dei portatori di interesse. Ma il rischio greenwashing può essere evitato: esistono strumenti che aiutano le imprese a comunicare in modo corretto la propria attività: dagli impegni formalizzati in documenti come la Carta dei valori e il Codice etico alle policy aziendali; dalle certificazioni di prodotto e di processo al rispetto di standard condivisi, senza dimenticare etichette, packaging, strumenti di rendicontazione.
Il suo libro recentemente uscito “Verde, anzi verdissimo. Comunicare la sostenibilità evitando il rischio greenwashing” a chi si rivolge?
Il libro offre alcuni suggerimenti che spero possano essere utili ai comunicatori e alle organizzazioni, in particolare alle imprese potenzialmente più esposte all’accusa di mancare di coerenza, trasparenza, autenticità. Ma anche agli studenti che quando entreranno nel mondo del lavoro dovranno avere le idee chiare su come comunicare i valori dei loro clienti o delle organizzazioni nelle quali lavorano. Nella pubblicazione cerco di spiegare perché il greenwashing rappresenta sempre un pericolo: nuoce gravemente alla credibilità dell’organizzazione, mette in discussione la sua reputazione, attiva forme di boicottaggio che si propagano velocemente attraverso il web.
Vi è in questo momento una differenza tra società pubbliche e private, oppure tra aziende di grandi o piccole dimensioni riguardo alla sensibilità su questi temi?
Molte grandi imprese private hanno avviato da più tempo un percorso verso lo sviluppo sostenibile mentre la Pubblica Amministrazione, a parte alcuni casi virtuosi, deve ancora fare molti passi avanti. In futuro sarà sempre più importante far crescere la cultura della sostenibilità anche nelle PMI. In questo percorso le grandi aziende possono avere un ruolo importante per stimolare e supportare le imprese della propria filiera.
Qual è l’ambito di sostenibilità maggiormente applicato dalle aziende italiane, le misure ecologiche, le politiche sociali o le pratiche di buona governance e perché?
Le iniziative che riguardano la dimensione ambientale sono al momento maggiormente diffuse perché più facilmente misurabili. Ma cresce anche l’impegno in ambito sociale molto importante anche se i risultati sono misurabili con maggior difficoltà. Una buona governance è fondamentale per portare avanti strategie in grado di generare un impatto positivo sull’ambiente e sulla società.
Mi fa piacere ricordare che il cambiamento ambientale e sociale deve coinvolgere tutti e che richiede apertura, solidarietà, condivisione presupposti necessari per continuare il percorso che ci porterà ad uno sviluppo sempre più sostenibile.
