30 Ottobre 2020

Società estere e reati tributari: compliance 231 alla luce delle ultime novità

LUCA RIGOTTI

Immagine dell'articolo: <span>Società estere e reati tributari: compliance 231 alla luce delle ultime novità</span>

Abstract

L’ente non residente risponde ai sensi del Decreto 231 se il reato-presupposto è commesso in Italia o è comunque soggetto a giurisdizione italiana (Corte di Cassazione, sentenza n.11626/2020).
Le società di diritto estero risponderanno anche dei reati tributari commessi in Italia, recentemente introdotti nel catalogo dei reati presupposto ex art. 25-quinquiesdecies.

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I fatti

Nella vicenda in esame, gli enti ricorrenti avanti la Suprema Corte lamentavano l’erronea applicazione della legge da parte dell’Autorità Giudiziaria, la quale li aveva condannati per fatti commessi sul territorio italiano da parte di soggetti che, al tempo, ricoprivano funzioni di rappresentanza. Tra i motivi del ricorso veniva ritenuta non applicabile la normativa 231, in quanto fonte di diritto interno. In tal senso, i ricorrenti ritenevano che l’Ente fosse indenne da responsabilità amministrativa e pertanto esonerato dalla predisposizione di un adeguato Modello Organizzativo di Gestione e Controllo (MOGC).

 

La decisione

Gli Ermellini hanno respinto il motivo del ricorso addotto dalle società, sottolineando come l’art.1, comma 2, del D. Lgs. 231/2001 definisca l’ambito applicativo senza prevedere alcuna distinzione tra enti aventi sede in Italia ed enti aventi sede all’estero. In particolare, secondo la Corte di Cassazione, la persona giuridica, a prescindere dalla sua nazionalità o dal luogo ove essa abbia la sede legale, risponde per l’illecito amministrativo derivante da un reato presupposto, commesso da soggetti apicali ovvero da persone sottoposte alla loro direzione o vigilanza. È stato quindi respinto il motivo di ricorso secondo il quale, per i soggetti ricorrenti non residenti, non vi è responsabilità amministrativa, in virtù del fatto che nel loro Stato di residenza non è presente alcuna normativa avente ad oggetto la responsabilità amministrativa degli Enti.

Tale decisione si inserisce all’interno di un complesso dibattito in materia di applicabilità della normativa 231 agli enti non residenti. Se da un lato la dottrina si pone su ambiti contrapposti, dall’altro, la Suprema Corte, con la sentenza in oggetto, ha confermato l’orientamento prevalente della giurisprudenza di merito[1], aprendo la strada con questa prima decisione di legittimità in materia.

 

Introduzione dei reati tributari quali reato presupposto

In particolare, la sentenza in oggetto, ha un rilievo fondamentale per quanto riguarda la materia tributaria. La decisione impatta sulla recente riforma del 2019[2], che ha esteso la responsabilità amministrativa degli enti anche ai reati tributari, ampliando in tal modo il novero dei reati-presupposto. In particolare, i principali delitti introdotti sono i seguenti:

  • dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti;
  • dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici;
  • emissione di fatture per operazioni inesistenti;
  • occultamento o distruzione di documenti contabili;
  • sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.

Il D.Lgs. 75/2020, in recepimento della direttiva PIF, ha invece introdotto nuove fattispecie tributarie, in particolare ha disposto la punibilità degli enti per le gravi frodi IVA – di carattere transazionale e con un’evasione non inferiore a dieci milioni di euro – nelle seguenti ipotesi di reato:

  • dichiarazione infedele;
  • omessa dichiarazione;
  • indebita compensazione.

È prassi comune, in ambito UE, assistere al c.d. fenomeno del “forum shopping”, attraverso il quale viene ricercato il regime fiscale – e, di conseguenza, anche la giurisdizione – più favorevole. Sul piano penal-tributario, invece, ai fini del D.Lgs. 231/2001, varrà il principio di territorialità della giurisdizione penale, riaffermato qui dalla Cassazione, secondo il quale il luogo di commissione del reato è quello che individua l’Autorità Giudiziaria che dovrà occuparsene.

 

Predisposizione di un modello adeguato

Il rischio di commissione di reati presupposto ai fini del D.lgs. 231/01, metterà gli enti non residenti di fronte alla scelta di adottare o meno un MOGC. Solo attraverso l’adozione e l’efficace attuazione di un MOGC, l’ente non risponderà per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio.

I soggetti non residenti, che vogliano o debbano operare sul territorio italiano, dovranno valutare attentamente le proprie aree organizzative a rischio reato. È di tutta evidenza il fatto che i reati tributari interessino gran parte delle aree in cui è organizzata l’azienda. Non vi è dubbio alcuno che gli operatori non residenti che decideranno di dotarsi di modello dovranno operare un attento vaglio del processo di compliance aziendale, consistente nell’adeguamento alla normativa italiana.

 

Il presente contributo è stato redatto con la collaborazione del Dottor Fabiano Belluzzi, Trainee – Andersen Venezia

 

[1] Si vedano:
- Trib. Milano G.I.P., Ord. 27.04.2004;
- Trib. Milano G.U.P., Ord.13.06.2007;
- Trib. Lucca, Sent. 31.07.2017 n. 222/2017;
- Trib. Lucca, Sent. 31.07.2017 n. 222/2017;
- Corte d’Appello di Firenze, Sent. 13.12.2019 n. 3733/2019.

[2] Legge n. 157/2019, a conversione del D.L. n. 124/2019

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