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Il concetto di “sostenibilità” nel mondo business e corporate sta facendo discutere tutti gli operatori: continuerà a farlo nell’anno che è appena iniziato e anche oltre. Per dare un senso immediato dell’attualità del tema, è sufficiente menzionare lo “Statement on the Purpose of a Corporation” pubblicato la scorsa estate dalla Business Roundtable. Per la prima volta in più di 40 anni, l’associazione che riunisce i CEO di alcune tra le più importanti aziende americane ha messo in discussione il principio della “shareholder primacy” (la precedenza data, nella gestione del business, al ritorno economico per investitori e azionisti). Le aziende, è stato scritto, devono risultare sostenibili nella medesima misura per tutti gli stakeholders coinvolti, direttamente o indirettamente, nella propria attività: quindi clienti, dipendenti, fornitori, le comunità nel loro complesso, e infine anche gli shareholders.
Lo Statement detta quindi un’autentica “rivoluzione copernicana” per il modo di fare impresa. In molti hanno commentato il testo con scetticismo, sostenendo che invocare il passaggio dallo shareholder-Capitalism allo stakeholder-Capitalism sia un’operazione bella in teoria, ma inapplicabile in pratica. Non c’è dubbio che il testo sia ambizioso (anche nella sua brevità: sono poco più di 300 parole), ma allo stesso tempo è innegabile che non nasca dal nulla, ma rappresenti il culmine di un’attenzione alla sostenibilità che dura ormai da qualche anno, e ha prodotto in diversi casi dei risultati tangibili.
L’Italia, nella sua specificità, presenta qualche esempio utile. È del 2016 il decreto legislativo che, recependo e attuando delle direttive europee del 2014, ha introdotto il concetto che le imprese -in particolare quelle di grandi dimensioni e quotate- debbano comunicare informazioni di carattere non finanziario e informazioni sulla diversità. Ogni anno, è obbligatorio per le imprese con più di 500 dipendenti e almeno 20 milioni di bilancio o 40 milioni di ricavi (ma consigliato per le imprese di tutte le dimensioni) stilare un report non solo sulla propria performance economica, ma anche sul proprio impatto ambientale e sociale, insieme alle misure adottate per prevenire attivamente i rischi di corruzione. Un altro esempio è l’attività recente di Assonime (probabilmente la maggiore associazione italiana fra le società per azioni) che si è molto focalizzata sul tema della corporate governance, organizzando una conferenza annuale (Italy Corporate Governance Conference) in cui il tema della sostenibilità e dei benefici diffusi dello sviluppo delle imprese è centrale.
L’iniziativa La Direzione Legale Sostenibile intende inserire l’attività delle direzioni legali delle aziende -e, più in generale, il mercato legale nel suo complesso- all’interno di questo grande trend. Come DiliTrust siamo d’accordo con uno degli assunti alla base dell’iniziativa, ovvero che le direzioni legali hanno un “doppio ruolo” unico nel suo genere in ambito di sostenibilità:
- devono supervisionare la piena compliance di tutte le funzioni aziendali
- e, allo stesso tempo, essere a loro volta sostenibili nello svolgimento del proprio lavoro.
Crediamo quindi che la “sostenibilità” delle direzioni legali coincida soprattutto con la gamma delle loro conoscenze e l’efficienza del loro funzionamento in un contesto di business che sta cambiando radicalmente. In generale, nel mondo corporate, tutte le divisioni aziendali sono oggi investite dal boom delle tecnologie e della digitalizzazione, e chiamate a gestire -non a subire- questo boom. Riteniamo però che per le direzioni legali la questione sia particolarmente urgente, perché il loro ruolo e la loro importanza all’interno delle aziende stesse sono aumentate negli ultimi anni. Il ruolo strettamente “consulenziale” dei legali in-house è, a tutti gli effetti, un retaggio del passato. Oggi il giurista di impresa ha assunto un ruolo sempre più strategico per il business e deve avere familiarità con aree e ambiti più ampi e, per l’appunto, una visione anche sulla digitalizzazione.
Prendendo come punto di riferimento la triade di parametri ESG (Environmental, Social e Governance) la partita della sostenibilità per la direzione legale si gioca certamente sulla Governance, e soprattutto nel campo dei dati e della loro gestione, con nuove sfide relative a compliance, trasparenza e sicurezza delle informazioni.
Le aziende sono oggetto di un flusso di informazioni sempre più imponente, e l’Harvard Business Review ha calcolato che solamente l’1% dei dati che non sono ordinati adeguatamente viene utilizzato in maniera proficua. Per questo è fondamentale avere delle pratiche e degli strumenti che permettano di controllare la raccolta, la gestione e la trasmissione di informazioni. Le direzioni legali mediano internamente con tutte le divisioni aziendali alle quali forniscono supporto e assistenza, ed esternamente con gli altri stakeholder (a cominciare dai legali esterni). Un ruolo a 360 gradi, come anticipato, con pochi paragoni.
In qualità di fornitore di soluzioni software che rendono la Governance più efficiente e fluida, partecipiamo quindi a La Direzione Legale Sostenibile portando una prospettiva fortemente operativa sul significato del termine “sostenibilità”, e cercando di farla dialogare con la prospettiva più valoriale: siamo infatti convinti che efficienza e trasparenza possano (anzi, debbano) camminare insieme. Siamo anche curiosi di guardare oltre la direzione legale corporate e avere un punto di osservazione sul mondo degli studi legali e dei professionisti, che -come ha dimostrato con grande efficacia una recente ricerca di PWC- vedono la tecnologia come un fattore chiave per avere successo nel settore nel prossimo futuro.