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La sostenibilità come nuovo paradigma della cultura d’impresa
Si modificheranno schemi imprenditoriali e mindset di consumo tradizionali, in uno scenario globale di transizione verso la sostenibilità, traghettando il sistema nella (auspicata) direzione di un capitalismo maggiormente virtuoso e “cosciente”: l’impresa deve coinvolgere gli stakeholders, rendendoli partecipi e portandoli a “sistema”, connotandosi per un nuovo impianto culturale/valoriale “sostenibile”, chiaramente percepibile e condiviso. Perseguire obiettivi ambientali, sociali e di governance - che trascendano il meccanico rispetto di (eventuali) obblighi normativi – connota e caratterizza, crea consenso e identità, legittimazione e reputazione: occorre generare valore sostenibile di lungo periodo attraverso comportamenti socialmente responsabili e climate compliant, basati sulla rete di relazioni con gli stakeholders, ripensando i processi industriali.
Senza relazioni “sostenibili” anche l’organizzazione non potrà dirsi “sostenibile” nel tempo, sarà destinata a un inevitabile declino, la cui velocità dipenderà dalla capacità della società attuale di determinare una rapida evoluzione culturale: la “sostenibilità” della visione dell’impresa deve costituire l’impronta culturale di un’organizzazione e trasfondersi in norme interne e condotte coerenti.
I modelli culturali tradizionali risultano oggi insoddisfacenti: occorre integrarvi nuovi approcci “sostenibili”, quale primo elemento di un nuovo patto intra/inter-generazionale, di un innovativo percorso di cambiamento globale nel quale – nelle scelte individuali e nelle decisioni collettive – si ponga al centro il contemperamento di obiettivi economici e finalità di sostenibilità ambientale e sociale, quale che sia il “conto” da pagare, all’inizio del processo e nel suo dispiegarsi, ad esempio in termini economici (prezzi di acquisto più elevati per prodotti e servizi “non sostenibili”), di “abitudine” psicologica (da cambiare), di studio e accettazione di nuove routine lavorative.
L’obiettivo a cui le imprese devono tendere è quindi quello dello “sviluppo sostenibile”, che integri profili economici, sociali e ambientali, da combinare in un nuovo paradigma produttivo i cui risultati vengano declinati rispetto alle finalità di ogni stakeholder e sintetizzati in idonei strumenti comunicativi e da ottenere attraverso coerenti modelli di governance e schemi gestionali. L’impianto di governance in grado di produrre tali effetti è quello che consente l’interscambio relazionale tra gli stakeholders, stimolato da una leadership imprenditoriale (manageriale o proprietaria) che ponga quantomeno sul medesimo piano valoriale la massimizzazione del rendimento e il profilo etico.
Interazione e coordinamento di mission (intesa come finalità ultima dell’organizzazione, declinata anche in un’accezione etico-valoriale), corporate governance (impianto di governo aziendale con cui viene perseguita la mission) e accountability (schema di comunicazione agli stakeholders delle informazioni rilevanti e dei risultati ottenuti) costituiscono il sostrato di un nuovo pattern industriale e produttivo sostenibile, che produca il miglior bilanciamento possibile con gli obiettivi dei vari stakeholders: gli interessi di questi ultimi e dell’impresa possono in origine non collimare ma la loro traiettoria deve convergere verso una dimensione di sostenibile equilibrio aziendale (massimizzazione del profitto per gli investitori di capitale e realizzazione degli obiettivi - anche non economici - degli stakeholders).
Se lo sviluppo economico, tout court, può non portare al progresso sociale - ad esempio per le conseguenze ambientali di un industrialismo “a-morale” - allora l’impresa si legittima come istituzione sociale laddove sia in grado di soddisfare le aspettavie dei propri stakeholders. Ne conseguono le implicazioni di matrice etica e culturale: l’organizzazione si può definire “morale” quando accetta che gli stakeholders si qualifichino come tali in quanto – in sè – portatori di un proprio intrinseco interesse nell’organizzazione, a prescindere dalla presenza di reciprocità (l’impresa può non avere un proprio interesse nei loro confronti) e di concreta capacità degli stakeholders di promuovere il loro specifico obiettivo.
Quale la sintesi? Il successo aziendale misurato con la “pura” redditività bilancistica è un equilibrio di breve periodo, nel lungo termine la performance dell’impresa - e, finanche, la sua sopravvivenza - non può avvenire eludendo le aspettative di tutti gli stakeholders.
Lo sviluppo “sostenibile” modificherà quindi i classici modelli di business delle imprese, attraverso l’integrazione nella cultura organizzativa e nei valori primari dell’impresa di una visione sostenibile delle dinamiche sociali e ambientali, portando alla scomparsa degli antiquati paradigmi produttivi tradizionali e di determinate tipologie di imprese e creando, per converso, nuove favorevoli opportunità imprenditoriali. Un nuovo schema produttivo sostenibile - aperto alla condivisione e alla relazione, fondato su un “trascendente” impianto valoriale, solido e pervasivo - permetterà il contenimento dell’attuale deriva ambientale del pianeta, determinando uno sviluppo che contemperi cultura della sostenibilità e redditività.
Ridisegnare paradigmi consolidasti è complesso ma l’economia multidimensionale nella quale viviamo deve potersi far carico – anche e soprattutto - degli ambiti socio-ambientali e culturali, individuando ulteriori criteri (oltre a quelli economici) per misurare la propria crescita: le decisioni collettive si dovranno basare (anche) su altri criteri, primo dei quali la tutela ambientale, obbligo morale nei confronti delle future generazioni. Individui e imprese - nell’assumere tali coordinate concettuali come driver decisionale - devono percepirle non come un costo da sostenere, a cui essere costretti, ma come un investimento sul miglioramento e sulla sostenibilità del proprio futuro e di quello delle prossime generazioni, in uno schema “win-win” nel quale tutti possano risultare (in qualche percentuale) vincitori.
L’allineamento del substrato valoriale che si va (auspicabilmente) a determinare tra individuo e organizzazione andrà ad attrarre e cementificare relazioni, creando un indissolubile senso di appartenenza e condivisione: per giungervi, occorre una approccio alla governance dell’impresa connotato moralmente ed eticamente dal punto di vista valoriale, che fornisca l’”esempio”, in grado di stimolare le aspettative motivazionali e relazionali degli stakeholders, determinando un virtuoso rapporto tra valori etici e obiettivi reddituali e un (certamente non agevole) equilibrio tra morale e profitto: l’obiettivo è quindi l’”economia della sostenibilità”.
Il ruolo delle direzioni legali nel cambio di paradigma
L’organizzazione rappresenta, come detto, una componente di un più esteso ecosistema - costituito da scambi e relazioni, nel quale tutti i membri che vi partecipano (definiti, con un termine assai poco filosofico, stakeholders) devono potervi trovare sostentamento - ma è anche, di per sè, un organismo formato da più parti, ognuna con un compito “fisiologico” da svolgere, necessario per consentirne la sopravvivenza ma sopratutto determinarne il processo evoluzionistico (quella che è stata definita “transizione” verso un nuovo paradigma).
L’”organo” aziendale nel quale è più “fisiologicamente” collocabile la più incisiva metabolizzazione di un nuovo approccio imprenditoriale “sostenibile” appare quello “legale”, luogo metafisico nel quale la cultura della “sostenibililità”:
- può essere tradotta in norme interne, codici etici, condotte concrete,
- porta a sintesi la mediazione tra le (a volte centrifughe) dinamiche aziendalistiche,
- verifica il rispetto delle ratio sottese.
Non sono forse questi i tratti “legali” distintivi?
L’alveo legale deve quindi risultare il demiurgo dell’evoluzione sostenibile dell’organizzazione,
- attraverso la costruzione dell’impianto normativo interno, nel quale trasfondere i principi sottesi alla sostenibilità “aziendale” (coerenza, onestà, trasparenza, tutela della diversità),
- verificandone il rispetto, nella sua applicazione interna e nei rapporti con gli stakeholders,
- essendone il contesto in cui si giudicano i comportamenti e sanzionano le violazioni,
- fornendo esso stesso, per primo, l’esempio di etica nei rapporti interni e nelle relazioni esterne, stimolando e favorendo comportamenti virtuosi degli altri “organi” dell’impresa, contribuendo a un virtuoso e veloce “contagio” di visione sostenibile.
L’ambito legale è, ontologicamente, il luogo del “rispetto”: la perenne ricerca di norme comportamentali - che attingano dalla natura o dal diritto positivo, sulle quali fondare le condotte quotidiane - potrebbe in realtà semplicemente esaurirsi nell’applicazione di un unico principio dal quale possono dedursi tutte le ulteriori regole sociali (parafrasando la formidabile formulazione dell’imperativo categorico kantiano): a prescindere dal qualsiasi ruolo si rivesta nell’impresa, agire in modo da trattare ognuno degli attori delle nostre relazioni quotidiane (sia i membri della propria organizzazione che gli stakeholders) “sempre insieme come fine, mai semplicemente come mezzo”.