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Ha avuto notevole risonanza la notizia del decreto di sequestro preventivo emesso il 23 agosto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano a carico del conto corrente di uno studio legale associato, per fatti di riciclaggio.
La Procura della Repubblica decideva di indagare l’associazione professionale per l’illecito amministrativo previsto dal d.lgs. 231/2001 (articolo 25-octies): in buona sostanza un avvocato (socio) sarebbe concorso nel riciclaggio del cliente, aiutandolo ad occultare i proventi di evasione fiscale e, in questo modo, avrebbe procurato un profitto allo studio associato.
La somma sequestrata, precisa il GIP
costituisce, da una parte, il vantaggio a cui fa riferimento l'art. 5 d.lgs. 231/2001 e dall`altra, il profitto (art. 19 d.lgs. 231/2001) ottenuto dall'ente per effetto della commissione del delitto …
Si pongono (almeno) due questioni.
Innanzitutto, occorre chiedersi se all'associazione professionale si applica il d.lg. 231.
Uno studio associato (che è associazione senza personalità giuridica) o - a maggior ragione - una società tra avvocati sembra rientrare tra i soggetti collettivi ai quali si applica il d.lg. 231 (art 1).
Nessun dubbio mostra il GIP nel provvedimento cautelare:
Rilevato che per giurisprudenza costante anche le associazioni professionali sono destinatarie della disciplina di cui al d.lgs. 231/2001 già applicata ad esempio più volte nel caso di associazioni di commercialisti…
Il precedente è costituito da Cass., sez. II, 4 novembre 2015, n. 44512, che ha ritenuto un’associazione tra dottori commercialisti destinataria della normativa in questione.
Ad avviso di chi scrive, tuttavia, non si è data risposta al quesito: l’associazione tra avvocati svolge funzioni di rilievo costituzionale (il che porterebbe alla sua esenzione dal d.lgs. 231)?
Mi riferisco ovviamente al diritto di difesa, inviolabile, ex art 24 Cost, la cui tutela è rimessa all'avvocato.
Per ragioni analoghe (direi, anzi, meno "robuste") sono pacificamente esclusi dall'applicabilità del d.lgs. 231 i partiti politici e i sindacati.
La giurisprudenza di legittimità (Cass., 21 luglio 2010, n. 28699) ha affermato che la ratio dell'esenzione è quella di preservare enti rispetto ai quali le misure cautelari e le sanzioni applicabili ai sensi del d.lgs. n. 231 sortirebbero l'effetto di sospendere funzioni indefettibili negli equilibri costituzionali, il che non accade rispetto a mere attività di impresa. In realtà non può confondersi il valore - pur indubbiamente di spessore costituzionale - della tutela della salute con il rilievo costituzionale dell'ente o della relativa funzione, riservato esclusivamente a soggetti (almeno) menzionati nella Carta costituzionale (e su ciò dottrina costituzionalistica e giurisprudenza sono pacifiche); né può qualificare come di rilievo costituzionale la funzione di una s.p.a., che è pur sempre quella di realizzare un utile economico.
In altri termini, supporre che basti - per l'esonero dal d.lgs. n. 231 - la mera rilevanza costituzionale di uno dei valori più o meno coinvolti nella funzione dell'ente è opzione interpretativa che condurrebbe all'aberrante conclusione di escludere dalla portata applicativa della disciplina un numero pressoché illimitato di enti operanti non solo nel settore sanitario, ma anche in quello dell'informazione, della sicurezza antinfortunistica e dell'igiene del lavoro, della tutela ambientale e del patrimonio storico e artistico, dell'istruzione, della ricerca scientifica, del risparmio e via enumerando valori (e non "funzioni") di rango costituzionale".
Dubito che il caso di specie possa rientrare pacificamente in questo ragionamento della Cassazione.
A mio avviso la questione dovrà essere rimeditata dalla S.C. alla luce del fatto che lo studio legale associato ha sì fine di lucro ma nella sostanza è una particolare modalità associativa di avvocati che sono i soggetti che tutelano per conto del cliente il diritto di difesa sancito nella Costituzione.
Il riscontro del vantaggio illecito è sufficiente per sancire la responsabilità dell'ente?
In secondo luogo: se un socio, all'insaputa degli altri (sembrerebbe questo il caso di specie), fa transitare sul conto dello studio compensi di provenienza illecita (riferibili a sue prestazioni professionali), difetterebbe il requisito dell'interesse dell'ente.
Si tratterebbe, piuttosto, di una condotta ascrivibile esclusivamente a quel socio e tenuta verosimilmente per finalità dissimulatorie: lo studio potrebbe, anzi, essere parte danneggiata e chiedergli i danni derivati da tale condotta (con autonoma azione civile, in quanto, secondo la giurisprudenza, l'ente imputato non può costituirsi parte civile nei confronti del suo esponente imputato nel medesimo processo penale).
In altri termini, i proventi illeciti sarebbero entrati nel suo patrimonio, ma l'ente non aveva la finalità criminale - ex ante - di avvantaggiarsi dal reato.
La mera ricaduta a vantaggio non può essere ritenuta sufficiente per imputare l'illecito ex d.lg. 231 all'ente.