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Il linking come atto di comunicazione al pubblico di contenuti autoriali protetti
La crescita esponenziale della rete internet e delle forme di condivisione digitali rappresenta senza dubbio una delle sfide più attuali ed urgenti con cui il diritto d’autore è chiamato a confrontarsi.
In particolare, viene in rilievo l’attività di linking (o hyperlink) che, come noto, consiste nell’inserimento, su un sito web, di un collegamento ipertestuale attraverso cui l’internauta può accedere ad una diversa pagina web, dello stesso sito o di un sito appartenente e/o gestito da un diverso soggetto.
Il linking costituisce uno strumento essenziale per il buon funzionamento di internet: esso, infatti, da un lato consente all’utente di poter navigare tra le diverse pagine web seguendo dei percorsi logico-consequenziali, garantendo così una più agevole accessibilità delle informazioni; specularmente, l’attività di linking effettuata dai terzi è in grado di generare un effetto moltiplicatore delle visite del sito o spazio web al quale il collegamento rinvia, potendo avvantaggiare, sia pur indirettamente, l’autore della comunicazione richiamata dal link.
È evidente, tuttavia, che il linking o hyperlinking può dare luogo ad una fruizione capillare, massiva e generalizzata delle opere e dei contenuti protetti dal diritto d’autore; in tale prospettiva, dunque, gli atti di linking, che si sostanziano in forme di ri-condivisione digitale, si pongono problematicamente rispetto al diritto esclusivo di comunicazione al pubblico che la Direttiva 2001/29/CE riconosce agli autori e ai titolari di alcuni diritti connessi, quali gli artisti interpreti ed esecutori, i produttori fonografici e delle prime fissazioni su pellicola, nonché gli organismi di trasmissione radiotelevisiva.
L’art. 3 della Direttiva 2001/29/CE (dedicata all’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione), sancisce che “Gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione al pubblico [delle opere medesime] in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”.
Sulla scorta della norma richiamata, diviene perciò essenziale determinare se ed a quali condizioni l’attività di linking, che consenta agli utenti di Internet di accedere ed usufruire di un contenuto protetto da diritti d’autore o diritti connessi, possa essere considerata un atto di comunicazione al pubblico, come tale vietato ai terzi senza il previo consenso dell’autore (ovvero del titolare del diritto connesso).
I principi e criteri elaborati dalla Corte di Giustizia UE
Proprio per la straordinaria attualità ed urgenza delle questioni poc’anzi accennate, negli ultimi anni la Corte di Giustizia si è ripetutamente pronunciata in materia di linking, contribuendo a mettere a fuoco i principi e i parametri di riferimento.
Fin dalla prima sentenza del 13 febbraio 2014, (Caso Svensson, C-466/2012), la CGUE ha chiarito che, affinché possa configurarsi una comunicazione al pubblico ai sensi della Direttiva 2001/29/CE, deve accertarsi la sussistenza di due elementi cumulativi, vale a dire l’esistenza di un atto di comunicazione di un’opera protetta, unitamente alla circostanza che tale comunicazione sia rivolta ad un pubblico.
Ebbene, se è pacifico che la condivisione di un link per l’accesso ad un contenuto protetto costituisce senz’altro un atto di comunicazione, risulta invece più complesso l’accertamento del secondo requisito, quello del pubblico.
La Corte di Giustizia, infatti, ritiene che, laddove un dato contenuto protetto sia stato precedentemente divulgato al pubblico attraverso le stesse modalità tecniche (ovverosia, sulla rete internet) e con il consenso dell’autore o avente diritto, la successiva condivisione da parte di terzi dell’opera medesima potrà rilevare quale ulteriore atto di comunicazione solo qualora tale condivisione sia rivolta ad un pubblico nuovo, cioè ad un pubblico “che i titolari del diritto d’autore non abbiano considerato, al momento in cui abbiano autorizzato la [prima] comunicazione iniziale al pubblico” (CGUE, Caso Svensson, C-466/2012, par. 24).
Questo principio comporta, pertanto, che se il link condiviso rinvii al medesimo sito o spazio web ove è stata effettuata la prima pubblicazione autorizzata dall’autore, e tale sito – quello della pubblicazione autorizzata – sia liberamente accessibile per la generalità degli utenti senza alcuna restrizione, la condivisione del link non costituisce un atto di comunicazione ad un nuovo pubblico, dal momento che tale condivisione si rivolge sostanzialmente al medesimo pubblico già considerato dall’autore (il pubblico dei potenziali visitatori del sito web cui rinvia il link). In tale circostanza, quindi, l’attività di linking risulta pienamente legittima e non richiede alcuna autorizzazione[1].
Ma cosa succede, invece, qualora il link condiviso rimandi ad un sito o spazio web ove l’opera protetta sia stata pubblicata senza il consenso dell’autore o avente diritto?
In tale diversa ipotesi, è indubbio che la comunicazione è rivolta ad un pubblico nuovo e diverso. Cionondimeno, secondo la CGUE anche in tali casi non può trarsi la conseguenza automatica che l’atto di linking costituisca sempre una violazione del diritto d’autore.
Infatti, come espresso dalla CGUE in due recenti pronunce (8 settembre 2016, GS Media, C-160/2015 e 26 aprile 2017, Stichting Brein, C-527/2015), si impone sempre una valutazione individualizzata dell’atto di comunicazione al pubblico, che tenga conto, in primis, I) dell’intenzionalità e del grado di cosciente partecipazione dell’utente all’atto di messa a disposizione dell’opera protetta, nonché, per quanto di occorrenza, II) del carattere lucrativo o meno della comunicazione medesima.
Da quanto osservato discende che, nel valutare la liceità-illiceità di ciascun singolo atto di comunicazione, l’interprete deve innanzitutto verificare se l’utente che abbia fornito o condiviso il link per la fruizione del contenuto autoriale protetto fosse concretamente a conoscenza, ovvero fosse nelle condizioni di dover conoscere che la pubblicazione online a cui il link rinviava non fosse stata autorizzata dall’autore o dall’avente diritto.
Poiché, invero, per la generalità degli utenti che condividono il link, risulta concretamente molto arduo accertare se il sito Internet cui il link riconduce disponga dell’autorizzazione necessaria a pubblicare l’opera protetta da diritto d’autore (specie in considerazione del complesso mercato delle sub-licenze), la Corte ha posto un distinguo tra i soggetti che effettuano la condivisione a titolo personale e senza ragioni di profitto, da coloro i quali, viceversa, agiscono a scopo di lucro.
Infatti, per coloro che effettuano l’attività di linking a fini di lucro è ragionevole attendersi un maggior onere di diligenza ed informazione nell’accertare che l’opera protetta non sia pubblicata illegittimamente sul sito cui rimandano i link, cosicché si forma una presunzione legale di conoscenza che rende tali soggetti responsabili per violazione dell’art. 3 della direttiva 2001/29/CE.
Viceversa, i soggetti che agiscono senza finalità di lucro non possono essere ritenuti responsabili per l’attività di linking, salvo che non si provi che questi ultimi soggetti fossero concretamente a conoscenza - ad esempio perché informati dallo stesso titolare dei diritti a mezzo di comunicazioni o diffide - che la pagina o il sito oggetto del rinvio conteneva materiale illegittimamente pubblicato.
Conclusioni e recepimento nella giurisprudenza italiana
Riassumendo, la giurisprudenza della CGUE, nell’esaminare i profili di liceità o illiceità della condivisione “indiretta” dei contenuti autoriali attraverso l’attività di linking, ha enucleato i seguenti principi e criteri direttivi:
- nel valutare se l’attività di linking possa rilevare quale atto di comunicazione al pubblico, deve procedersi ad un’analisi individuale, che tenga conto di vari elementi quali il (nuovo) pubblico a cui la comunicazione si rivolge, l’intenzionalità dell’autore della condivisione, nonché la finalità, lucrativa o meno, della condivisione medesima;
- se il link condiviso rinvii ad una pagina web sulla quale è stata legittimamente pubblicata l’opera, senza restrizione alcuna e con il consenso dell’autore o dell’avente diritto, l’attività di linking non costituisce comunicazione ad un (nuovo) pubblico ed è, pertanto, sempre ammessa;
- viceversa, qualora la pagina oggetto di rinvio contenga una pubblicazione non autorizzata di un’opera protetta, l’attività di linking costituisce un atto di comunicazione al pubblico (vietata) solo se colui che effettua la condivisione del link sia o dovrebbe essere a conoscenza dell’illiceità della pubblicazione medesima;
- colui che effettua il linking nell’ambito di un’attività a scopo di lucro è gravato da un obbligo di conoscenza circa la liceità o illiceità delle pubblicazioni di contenuti a cui il link rinvia.
Si tratta, in ogni caso, di linee di indirizzo che dovranno concretamente essere tradotte nella esperienza giuridica degli stati nazionali, alla luce della specificità della legislazione interna nonché delle diverse sensibilità dei giudici nazionali.
In tal senso, può segnalarsi, in ambito civilistico, la recente pronuncia del 15 febbraio 2019 (sentenza n. 3512/2019) il Tribunale di Roma, con la quale è stata fatta applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria, in un caso che vedeva coinvolte, inter alia, l’emittente televisiva RTI e le società Facebook Inc. e Facebook Ireland Limited.