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La norma
L’art. 42 comma 2 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18, prevede espressamente che l’infezione da coronavirus contratta in occasione di lavoro, è considerata infortunio sul lavoro. Infatti il meccanismo che porta a tale riconoscimento è molto semplice (oltre che estremamente aderente alla realtà): la causa virulenta, vale a dire l’esposizione ad agenti biologici fortemente nocivi per la salute dell’uomo, è equiparata alla causa violenta che è alla base dell’infortunio sul lavoro.
L’infezione da nuovo coronavirus è considerata esposizione ad agenti morbosi nocivi.
I destinatari della tutela: gli operatori sanitari
La norma in parola è concepita per tutelare tutti i lavoratori che in “occasione di lavoro” possono rimanere vittime del contagio da COVID-19. E sono soprattutto gli operatori sanitari (medici, infermieri, portantini, addetti al pubblico, tecnici, addetti alle pulizie, ecc.) sia dipendenti di aziende private che pubbliche, a correre il rischio del contagio, cosi come è ormai tristemente noto dalle cronache quotidiane che danno conto dei sempre più casi di decesso di lavoratori appartenenti a questa categoria.
Categoria che è stata fortemente messa sotto pressione dall’emergenza sanitaria ancora in atto e che più di tutte ne sta pagando le conseguenze.
Per gli operatori sanitari il rischio contagio è talmente probabile da configurare un rischio specifico, e pertanto vige la presunzione semplice di origine professionale; il che vale a dire che sussistono indizi gravi, precisi e concordanti che il contagio sia avvenuto in “occasione di lavoro”.
Ma vi è di più, la gravità e la potenziale esposizione morbigena è tale che è l’INAIL stessa a sostenere che, anche quando l’episodio che ha determinato il contagio non può essere provato dall’operatore sanitario, quest’ultimo gode della presunzione semplice.
Questo significa che in termini processuali, l’ordine della prova è invertito: spetta all’INAIL dover provare che il contagio non sia avvenuto in “occasione di lavoro”.
Tuttavia in sede di accertamento amministrativo del nesso di causalità fra lavoro e infortunio, “seguirà l’ordinaria procedura privilegiando essenzialmente i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico, e circostanziale “(si veda circolare INAIL n. 13 del 3 aprile 2020).
Inoltre la causa virulenta va riconosciuta a tutti gli operatori sanitari, sia nello svolgimento delle loro tipiche mansioni, sia nello svolgimento di attività strumentali o accessori a quelle tipiche, come ad esempio la vestizione e la svestizione degli indumenti di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale (maschere, guanti, tute, calzari) che sono, come abbiamo imparato in questo tragico momento, assolutamente fondamentali ed imprescindibili a prevenire il contagio da coronavirus.
Iter procedurale da seguire per la denuncia dell’infortunio
Quanto alla procedura da seguire per la denuncia all’INAIL dell’avvenuto contagio di un lavoratore, che sia esso un operatore sanitario o di qualsiasi altro settore, il citato art. 42 del DL. 17 marzo 2020 n. 18 prevede che: “il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato.”
L’appena citata disciplina per la verità non introduce alcuna nuova normativa, infatti è espresso il riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica del 30 giugno 1965 n. 1124, che già poneva come fulcro della denuncia il certificato medico: qui va chiarito brevemente che la prestazione economica conseguente al riconoscimento della natura di infortunio sul lavoro (la c.d. tutela INAIL) del contagio da COVID-19 può essere ottenuta solo se richiesta, e viene richiesta appunto con la presentazione del primo certificato medico redatto da un medico di fiducia dell’ammalato; questo certificato medico, da inviare telematicamente all’INAIL, deve contenere alcune informazioni importanti.
I dati da riportare nel certificato medico sono: dati anagrafici del lavoratore ammalato, i dati del datore di lavoro, data presumibile del contagio, data di astensione dal lavoro per inabilità assoluta o data di astensione per la quarantena, succinta esposizione delle circostanze dell’evento/contagio, natura delle patologie sofferte al momento della redazione del certificato medico.
Anche il datore di lavoro deve assolvere all’obbligo di inviare all’INAIL la denuncia di infortunio corredata delle necessarie informazioni, alcune delle quali sono giustamente enfatizzate dall’INAIL (sempre circolare n. 13 del 3 aprile 2020), ed esattamente: data dell’evento, data di abbandono del luogo di lavoro, data di presa coscienza – magari con riferimento a certificazione medica – dell’avvenuto contagio.
La tutela INAIL decorre dal primo giorno di astensione dal lavoro del contagiato; che può, nella fattispecie coincidere con l’inizio della quarantena.
Infortunio in itinere
A conclusione di questa breve dissertazione, si precisa che è riconducibile ad infortunio sul lavoro anche l’eventuale contagio contratto durante il tragitto da e per il luogo di lavoro dal luogo di residenza.
Invero l’infortunio in itinere è un concetto già consolidato nell’ordinamento italiano, e non contempla solo gli eventuali incidentali stradali che possono accadere nel ridetto tragitto; nello specifico contemplerebbe l’eventuale contagio da COVID-19 occorso per esempio nell’utilizzo dei mezzi pubblici per recarsi sul luogo di lavoro; a tal fine viene fortemente suggerito (e questa si che è una novità) l’utilizzo di mezzi propri, che va da sé ridurrebbero notevolmente il rischio di contagio.