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La casa, elemento essenziale del rapporto matrimoniale o familiare, può divenire uno dei principali elementi di contrasto in caso di separazione e divorzio o cessazione dell’unione di fatto.
Non è nuova la questione della opponibilità o meno della detenzione qualificata dell’immobile destinato a casa coniugale o familiare, da parte del coniuge assegnatario e collocatario dei figli non maggiorenni o autosufficienti, nei confronti del terzo acquirente od avente causa dall’altro coniuge già proprietario o comodatario o conduttore dell’immobile medesimo.
Con ordinanza n. 9990 del 10.04.2019, la Corte di Cassazione riconosce la prevalenza del diritto di abitazione dell’ex coniuge assegnatario e collocatario della prole rispetto al diritto del terzo acquirente, ma solo laddove quest’ultimo abbia effettuato il suo acquisto con una “clausola di rispetto” della situazione abitativa in essere, oppure abbia inteso concludere un contratto di comodato con coloro che la occupano, non bastando a tale proposito la mera consapevolezza in capo al terzo della destinazione dell’immobile alle esigenze del residuo nucleo familiare.
Il Supremo Collegio ha affrontato il problema del bilanciamento degli interessi opposti in gioco, ripercorrendo in maniera analitica i principi fondamentali che regolano la materia dell’assegnazione dell’abitazione familiare nei casi di separazione e divorzio.
In particolare, partendo dall’assunto secondo cui il fine esclusivo sotteso all’emanazione del provvedimento di assegnazione è quello di tutelare l’interesse dei figli- minorenni o economicamente non indipendenti non per loro colpa- a permanere nell’ambiente domestico nel quale sono cresciuti, si giunge ad affermare in favore del coniuge assegnatario non proprietario del bene una posizione di detenzione qualificata, che non va però a modificare il diritto del coniuge esclusivo proprietario del bene stesso che ha lasciato il nucleo familiare. La detenzione predetta trova, infatti, fondamento in un diritto che rimane pur sempre “personale” e non riveste quindi i caratteri tipici della realità (tra cui l’assolutezza ed inerenza), difettando quindi della capacità di affermazione e di opponibilità erga omnes.
Proseguendo nel suo ragionamento, la Cassazione sottolinea che il provvedimento di assegnazione, anche se non trascritto, avendo per sua natura data certa, è opponibile al terzo successivo acquirente almeno per nove anni dalla data di assegnazione (ove invece sia stato trascritto nei Registri Immobiliari, anche oltre tale periodo).
Concludendo, quindi, con una schematizzazione della casistica che potrebbe verificarsi in concreto: - il diritto di godimento del coniuge assegnatario dell’abitazione familiare prevale sul diritto dell’altro coniuge esclusivo proprietario o comproprietario non assegnatario, nell’ambito del dovere di solidarietà familiare ex art. 2 Cost., ed è funzionale esclusivamente alla conservazione dell’habitat familiare a tutela dei figli conviventi con il coniuge assegnatario;
- il provvedimento di assegnazione della casa oggetto di comodato immobiliare dopo l’espulsione dal nucleo del comodatario impedisce al comodante-proprietario la richiesta di restituzione laddove il godimento sia stato esteso ai componenti del nucleo familiare;
- se la casa è venduta (mantenendo la famiglia nel godimento del bene per effetto di un comodato) e dopo la vendita interviene un provvedimento di assegnazione, il terzo acquirente subisce il comodato se l’acquisto è avvenuto con una clausola “di rispetto” del comodato stesso, non essendo altrimenti opponibile al terzo acquirente il provvedimento di assegnazione in quanto posteriore all’acquisto.
Naturalmente, il principio deve intendersi applicabile anche alle unioni civili tra persone dello stesso sesso e alle convivenze come da Legge n. 76/2016.