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Il tema è quello della trasparenza della pubblicità e della riconoscibilità del messaggio pubblicitario o, in altre parole, quello della pubblicità occulta: il pubblico, di fronte a post che fanno parte di una influencer marketing campaign, deve essere in grado di capire che si trova davanti a un messaggio pubblicitario.
In Italia non esistono previsioni ad hoc per regolare il fenomeno ed il riferimento normativo principale è rappresentato dalla legge sulla pubblicità ingannevole, che prevede espressamente che la pubblicità deve essere riconoscibile.
L’unico tentativo di intervenire puntualmente per regolare il fenomeno, per il momento, è fallito ancor prima di essere intrapreso. Nel giugno del 2017, infatti, in sede di votazione del Disegno di legge Concorrenza, la Camera dei Deputati aveva approvato l’ordine del giorno che prevedeva di impegnare il governo a intervenire a livello legislativo affinché l’attività dei web influencer venisse specificamente regolata. L’ordine del giorno è stato, tuttavia, disatteso dal Senato e nessuna previsione sul tema è stata inclusa nel testo di legge poi definitivamente approvato.
Ad oggi, un riferimento importante è rappresentato dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), che nel 2017, ha pubblicato una Digital Chart con l’intento di indicare le diverse tipologie di online advertising e fornire suggerimenti per rendere riconoscibili i messaggi pubblicitari come tali. Si tratta di vere e proprie linee guida e regole pratiche di condotta – non vincolanti – ma utili per disciplinare l’attività degli influencer (e dei brand coinvolti).
La Digital Chart contiene alcuni accorgimenti che gli influencer possono utilizzare per rendere riconoscibile la natura promozionale dei contenuti pubblicati sui social media:
- #(hashtag) più il nome della campagna pubblicitaria in corso o accompagnato dal claim principale della campagna pubblicitaria, sempre che tale campagna o il suo claim abbiano acquisito notorietà;
- il link al sito internet del brand (ad esempio, un link che rimandi direttamente alla pagina dello shoponline);
- il link al sito internet del brand unitamente al @tag alla pagina proprietaria del brand sui social media (ad es. Instagram e Facebook).
Seppure, per il momento, in Italia non siano ancora stati emessi provvedimenti sanzionatori nei confronti di influencer o inserzionisti in ragione della scarsa chiarezza circa la natura promozionale dei post, la sensibilità al tema è comunque molto alta.
Già nel luglio dello scorso anno (il 24 luglio) l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha, infatti, pubblicato un comunicato stampa con il quale ha confermato il proprio impegno ad indagare sul fenomeno dell’influencer marketing e di aver inviato, in collaborazione con la Guardia di Finanza, lettere di moral suasion ad alcuni dei principali influencer e alle società dei titolari dei marchi visualizzati nei post e carenti dell’indicazione evidente circa la natura promozionale della comunicazione.
L’influencer marketing è un tema caldo anche a livello mondiale
Si consideri, ad esempio che:
- negli Stati Uniti, la Federal Trade Commission, oltre ad aver pubblicato – ormai da tempo - delle precise guidelines per indirizzare l’attività degli influencer, è anche intervenuta attivamente inviando lettere di moral suasion a società inserzioniste e influencer laddove i contenuti dei post non erano sufficientemente chiari circa la loro natura promozionale.
- In Germania il tema è giunto all’attenzione della Corte di Celle, che ha ritenuto non sufficiente a segnalare la natura commerciale della comunicazione l’indicazione, all’interno di un post, della dicitura #ad posta in seconda posizione su un totale di sei hashtag. Tale indicazione, infatti, è stata ritenuta non immediatamente percepibile dal consumatore e così non idonea a svolgere la funzione di contrassegnare il post come pubblicità.
- In Svezia una recentissima pronuncia di un Tribunale ha sanzionato sia una influencer che la società inserzionista perché le indicazioni sulla natura promozionale dei post, secondo il parere della Corte, erano fornite in modo poco chiaro al consumatore in quanto collocate al termine del post e sostanzialmente “mimetizzate” all’interno dello stesso (per il ridotto carattere e stile). La pronuncia svedese ha espressamente specificato che la natura promozionale del post deve essere chiarita al consumatore non appena questi entra in contatto con il messaggio. In tal modo, sarà il consumatore stesso che, reso edotto del fatto che la comunicazione che sta esaminando è di natura promozionale e non frutto della specifica preferenza dell’influencer, potrà decidere – scientemente – se esaminare il post per intero.
Per il momento, pare che l’ammonimento dell’AGCM dello scorso luglio non sia stato un sufficiente deterrente. Di recente, infatti, sia il Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria che il Comitato di Controllo hanno ritenuto che i contenuti dei post di alcuni influencer fossero contrari al codice di autodisciplina pubblicitaria e, in particolare, all’art. 7, che prevede la pubblicità “debba sempre essere riconoscibile come tale”.
Staremo a vedere, quindi, se prossimamente anche le altre autorità italiane (AGCM o Tribunali ordinari) dovranno fare i conti con influencer e brand “indisciplinati”.