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Rispetto al marketing delle imprese, che affonda negli anni sessanta il proprio sviluppo, il marketing legale si trova a vivere oggi il suo momento d’oro, a cavallo tra web e carta, fra resistenze ed entusiasmi, fra convinzione e “condanna” all’adeguamento.
In un mix fra strumenti, obiettivi di business e atteggiamenti culturali che sin da subito hanno trovato il loro primo terreno di sfida nel web e nei social media, ove i contenuti si devono adeguare allo spirito (e al giudizio) dei tempi.
Se infatti il marketing commerciale ha attraversato le sue tre fasi, passando dal marketing 1.0 degli anni ’60 e ’70, al 2.0 degli anni ‘80 e ’90, all’attuale 3.0 c.d. “marketing umanistico”, per citare le parole del prof. Kotler, il marketing legale non ha avuto il tempo o la necessità per compiere questo percorso.
La prima forma di marketing era servita alle aziende per fare conoscere i prodotti al pubblico (consumatori), in modo che potessero conoscerli per acquistarli; era il c.d. marketing verticale: l’azienda parla dei prodotti ai consumatori che acquistano.
La seconda epoca del marketing si caratterizzò invece perché cominciava a creare bisogni e si poneva come risolutore di questi bisogni. Siamo nell’epoca del consumismo, dove le persone vogliono sognare, appartenere e spendere.
Oggi il marketing risponde allo zeitgeist dell’attualità: disoccupazione, ambiente, energia, crisi economica, complessità. Il marketing cerca quindi di portare soluzioni agli uomini e non ai consumatori.
IL DEBUTTO DEL MARKETING NEL SETTORE LEGALE
Ecco, il marketing legale si trova a partire dove il marketing commerciale è arrivato dopo sessant’anni.
E come rispondono molti studi legali? Spiegano il prodotto. Con una logica anni ’60.
Troviamo così studi che sul web o sulle locandine spiegano quanti sono, dove sono, cosa fanno. Ma sarà questo il vero marketing efficace oggi? È questa la strada che porta a costruire il brand di studio? È questo il modo per fare circolare la reputazione?
Non sarebbe meglio per lo studio porsi al servizio dei grandi temi sociali? Non sarebbe meglio mettere al centro il cliente e non se stessi? Domande queste, che rappresentano, in qualche modo anche per lo studio legale oltreché per l’impresa di oggi, l’anticamera di concetto al tema del societing, ovvero a quel superamento del marketing moderno che riconosce preminenza alla società più che ai mercati, ai cittadini più che ai consumatori, allo sviluppo di relazioni e conversazioni più che alla promozione asimmetrica di brand e prodotti.
In un modello di relazioni aperto e in tempo reale, in cui la comunicazione fa fare esperienze e crea coinvolgimento. Ove non ci sono target da colpire ma ambienti da qualificare e riempire di significati in grado di motivare all’azione sia cittadini/clienti sia istituzioni brand.
Nella cosiddetta comunicazione blended, occorre creare costantemente contenuti e distribuirli, spalmandoli nei differenti canali a disposizione di una pluralità di individui nella società, naturalmente con linguaggi specifici per un ampio panel di canali/media: i vecchi e i nuovi media; la carta stampata, la tv e i canali sociali; i giornalisti dei grandi gruppi Editoriali (in crisi) e il depotenziamento delle fonti ingenerato dalla disintermediazione del loro ruolo vs blogger e attori influenti della Rete.
In uno scenario che vedrà aumentare, anche per lo studio legale, l’auto produzione di comunicazione. Ove le imprese e necessariamente anche gli studi legali, saranno sempre più hub di competenze e di esperienze.
Per non parlare poi delle modalità con cui i contenuti vengono oggi fruiti dal pubblico.
Nessuno ha più tanto tempo per leggere e televisione e Internet hanno abituato le persone ad ascoltare storie, a condividere fatti, più che a informarsi.
Da qui nasce la modalità storytelling, parola abusata ma insostituibile con cui trasferire messaggi e contenuti, anche quelli professionali.
I social media e il web dettano poi i tempi della comunicazione, della curva di attenzione del pubblico e dei desideri di condivisione.
Stante questo scenario, peraltro stimolante, anche per soggetti come gli studi legali, orfani del tradizionale “passaparola”, è doveroso interrogarsi (e darsi risposte possibilmente) su almeno quattro temi non rimandabili:
Quali sono oggi i canali del marketing legale?
Quali sono le modalità comunicative efficaci per un mondo diverso dall’impresa?
Come ci si può distinguere dalla massa dei concorrenti?
Cosa può rendere la comunicazione legal eventualmente diversa?