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Oltre all’impatto ambientale delle infrastrutture, dei dispositivi (computer, smartphone, tablet etc.) e degli strumenti indispensabili alla comunicazione digitale, bisogna tenere in considerazione l’impatto ambientale delle nostre attività online in termini di sostenibilità. Ogni ricerca online è responsabile dell’immissione in atmosfera di una quantità variabile di CO2 che va da 0,2 a 7 grammi. Questo dato, di per sé di poco conto, deve però tenere in considerazione il fatto che ogni giorno vengono effettuate 3,5 miliardi di ricerche, portando Google a rappresentare circa il 40% dell’impronta di carbonio di internet.
In termini complessivi, l’inquinamento dovuto all’utilizzo della rete contribuisce, secondo uno studio della Royal Society riportato dal World Economic Forum, tra l’1,4% e il 5,9% delle emissioni globali di CO2. Per avere un metro di paragone, si può considerare che il traffico aereo contribuisce per il 2% alle emissioni globali. Secondo le stime, questo dato è destinato a raddoppiare entro il 2025 e nel 2050 la rete potrebbe arrivare al 20% delle emissioni globali di CO2. Un altro dato molto interessante è quello che esce fuori dal report elaborato dal Global Carbon Project: se Internet fosse uno Stato, sarebbe il quarto più inquinante sul globo.
In occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, l’Osservatorio ESG Karma Metrix ha reso noti i dati relativi al consumo energetico dalle cosiddette FAANG (Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google) che nel solo 2020 è arrivato a 49,7 milioni di MWh (con un aumento del 198% rispetto al solo 2018), di poco inferiore a quello della Romania e superiore a quello del Portogallo o della Grecia. Al consumo di energia, si accompagnano le emissioni di CO2 delle 5 big tech che sono pari a 98,7 milioni di tonnellate, di poco inferiori a quelle del Quatar e superiori a quelle della Repubblica Ceca, con un aumento pari al 17% dal 2018 al 2020.
Una delle principali forme dell’inquinamento digitale deriva dal cosiddetto inquinamento dormiente, dovuto all’archiviazione delle mail presenti nella casella postale. Una e-mail da 1 megabyte durante il suo ciclo di vita emette mediamente 20 grammi di CO2, l’equivalente di una lampadina accesa per 25 minuti. Secondo gli esperti questo fenomeno non è destinato a diminuire, al contrario continuando di questo passo il volume dei dati archiviati sarà destinato a raddoppiare ogni due anni. Allo stesso modo, dieci ore di video in HD consumano più di tutti gli articoli in lingua inglese di Wikipedia messi insieme. Il traffico video online nel solo 2018 è stato responsabile di oltre 300 milioni di tonnellate di CO2, arrivando ad eguagliare le emissioni emesse in un anno dalla Spagna.
Tuttavia, sulla base di quello che emerge dallo Studio sulla Sostenibilità di IAB Italia e YouGov sulla percezione dell’impatto ambientale del digitale, quello che risulta è la totale inconsapevolezza da parte degli utenti delle conseguenze delle loro azioni online in termini di inquinamento atmosferico: solo il 23% degli intervistati ne è a conoscenza. L’archiviazione su cloud, i siti web, i contenuti multimediali e i social network producono emissioni che passano inosservate. Nella percezione degli italiani solo il 19% pensa che l’invio di mail abbia un impatto negativo sull’ambiente.
Ridurre la propria impronta digitale è più semplice di quanto non si pensi. A questo scopo, sarebbe meglio allegare documenti compressi nelle e-mail per ridurre il peso dei messaggi e ancor meglio sarebbe sostituire gli allegati con collegamenti ipertestuali; ridurre l’invio di mailing list; eliminare regolarmente le e-mail già lette e non più utili; inserire direttamente l’URL del sito web che si vuole visitare senza passare per i motori di ricerca; archiviare i dati su hard disk e utilizzare il cloud solo quando è indispensabile. Inoltre, altre soluzioni possono essere quelle di scegliere provider gestiti con fonti rinnovabili. Infine, secondo alcune stime, utilizzando la modalità scura si può risparmiare fino al 9% di energia.
Allo scopo di ridurre l’impatto ambientale digitale sono nati molti progetti interessanti come Ecosia, il motore di ricerca che destina gli introiti legati alla pubblicità alla riforestazione, o Lilo che finanzia progetti ambientali. Cosa si può fare invece per ridurre l’impatto del proprio sito? A questo proposito una risposta concreta arriva da CO2web® di Rete Clima che, dopo aver calcolato le emissioni di CO2 generate dagli accessi al sito aziendale, compensa e neutralizza le emissioni stesse piantando il corrispettivo di alberi in Italia necessari al sequestro di CO2. Similmente, Karma Metrix misura la carbon footprint delle pagine Web promuovendone l’ottimizzazione energetica.
Il primo e più importante problema è dunque quello di acquisire consapevolezza delle conseguenze ambientali dei nostri comportamenti online. D’altronde, la transizione energetica non può non essere guidata dai dati e il settore digitale costituisce una delle principali risorse per la riduzione delle emissioni. Sostenibilità e comunicazione sotto questo punto di vista vanno di pari passo. È necessario comunicare la sostenibilità, ma per farlo è indispensabile comunicare in maniera sostenibile. Impegnarsi nell’attuazione di strategie comunicative sostenibili e volte alla riduzione delle emissioni digitali è possibile e sono molte le soluzioni che possono essere facilmente messe in atto sia in ambito aziendale che da qualsivoglia utente.