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Monitorare l’andamento di una campagna di comunicazione: quali strumenti?
Il monitoraggio dei risultati è la naturale fine di ogni iniziativa di comunicazione. Occorre verificare che gli obiettivi, fissati all'inizio delle operazioni, siano stati centrati. Bisogna avere la certezza che il tempo e le risorse investiti in ogni fase del progetto non siano andati sprecati. I social network forniscono in automatico queste informazioni, mentre, per quanto riguarda un sito internet possiamo utilizzare gli strumenti che si trovano sul mercato.
In internet ovviamente ce ne sono a bizzeffe, gratis o a pagamento. I professionisti della comunicazione sono piuttosto concordi nel dire che il più preciso è Google Analytics. Come il nome suggerisce, è uno strumento pensato da Google per Google, e consente di vedere, per esempio, quanti accessi ci sono stati in un determinato periodo di tempo, capire come gli utenti accedono al sito, la loro età, il genere, la provenienza geografica.
Ma siamo solo alla punta dell'iceberg: Analytics costruisce report aggregati con decine di dati utili, e permette un monitoraggio costante in un dato periodo di tempo, per esempio una settimana o un mese. Non solo: consente anche di confrontare il periodo che abbiamo scelto con quello precedente, in modo da avere il più nitido quadro possibile della situazione in evoluzione.
A conti fatti, i dati a disposizione sono tanti e tali che i diversi libri scritti sull'argomento non lo esauriscono del tutto. Un buon professionista della comunicazione valuta attentamente tutte le informazioni a disposizione per costruire report mirati, che servano a stabilire se veramente il gioco è valso la candela.
Quanto sono affidabili i tool di monitoring?
È importante dire che nessuno strumento è preciso al 100%.
Anzi, di più: nessuno può stimare con esattezza quanto i dati aggregati dai vari tool siano corretti.
Tutti questi software possono essere “ingannati” nei modi più disparati. Il più banale è il cambio dell'indirizzo IP di un utente, che modifica le informazioni con cui si accede a internet. Ne consegue che il tool conteggia più volte – una per ogni cambio di indirizzo – l'utente che si collega al sito.
Programmi ad-block, software anti-tracking, accessi in modalità incognito sono alcune delle difficoltà di misurazione che si incontrano.
Per far fronte a questi ostacoli, ci si serve in genere di almeno due tool per monitorare l'andamento di un sito, raccogliendo diverse volte lo stesso dato e provando a stimarne la validità. Il rovescio della medaglia è che la mole delle informazioni da raccogliere aumenta, e, con essa, la possibilità di commettere errori. Sta al professionista decidere quanto affidarsi a queste misurazioni, tenendo sempre presente che un altro modo per sapere quanto funziona una campagna di comunicazione non esiste.
Il report di monitoraggio
Per sapere quanto la nostra campagna sia performante non resta che prendere le informazioni a disposizione e aggregarle in un report. Ne costruiremo diversi, a intervalli regolari, in modo da poter, eventualmente, aggiustare in corsa la strategia che abbiamo programmato.
Per esempio, potremmo costruire un report al mese, con i risultati di quattro settimane di attività, per tenere sotto controllo costantemente la situazione, e uno, magari semestrale o annuale, che delinei il quadro completo.
Introdurre nel report ogni singolo dato che ci viene propinato non è solo una pratica scorretta, che richiede un investimento ancora più massiccio di tempo ed energie, ma addirittura controproducente. Si rischia di attribuire troppo peso specifico a dati che non sono utili nel nostro caso e poca importanza a informazioni vitali. A volte potrebbe bastarci che un utente atterri sulle nostre pagine, altre volte potrebbe essere fondamentale che uno stesso utente si connetta più volte. Potrebbe essere richiesta una durata minima di permanenza sul sito, o potremmo decidere che, per considerare il tutto un successo, l'utente debba cliccare su un'altra pagina del sito prima di uscirne.
Obiettivo raggiunto?
Redatto il report, è finalmente l'occasione di farsi delle domande: siamo stati bravi?
Recuperiamo quindi gli obiettivi che abbiamo formulato all'inizio dell'attività e vediamo se occorre aggiustare il tiro o procedere senza modificare nulla.
Ci sono due consigli che mi sento di dare ogni volta che incontro un potenziale cliente:
- essere oggettivi: non bisogna aver paura di modificare un piano. Cambiare strategia in corsa non dimostra automaticamente che quella precedente sia fallimentare, ma solo che siete sul pezzo e sapete adattarvi alla situazione;
- non partire dagli obiettivi prefissati per costruire il report, ma utilizzare i dati a disposizione per arrivare agli obiettivi e sapere se sono stati raggiunti. Questo è fondamentale: ci sono professionisti che assicurano risultati prima ancora di cominciare. A mio avviso è un errore grave, perché poi, in fase di monitoring, il report viene costruito sulla base di quanto promesso, con il rischio di alterare i dati. Solo quando abbiamo l'appoggio dei numeri possiamo interrogarci: c'era troppo ottimismo - o pessimismo - all'inizio? Avremmo potuto fare meglio?