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Il social washing, come il più noto greenwashing, si verifica quando c'è uno scollamento tra l'impegno percepito nei confronti di determinate situazioni e l'azione concreta di una realtà professionale o aziendale.
Questa pratica può assumere la forma di brand activism ovvero dichiarazioni da parte dell’impresa su un'ampia gamma di questioni sociali quali la diversità, l'equità e l'inclusione, gli standard lavorativi, la giustizia razziale, i diritti umani, la sicurezza dei prodotti e la privacy dei dati.
Un esempio su tutti, tangibile ed esplicativo, lo ha mostrato Gender Pay Gap Bot un account Twitter che, quando le aziende hanno pubblicato sui social media dichiarazioni sull'emancipazione femminile in occasione della Giornata internazionale della donna 2022, segnalava di rimando quelle che non erano all'altezza della situazione. Per ogni tweet che celebrava i risultati e il valore delle donne in un’azienda, il bot rispondeva con un tweet di ritorno che riportava i dati effettivi sul divario retributivo di genere della rispettiva azienda, disponibili pubblicamente.
Pur essendo divertente, questa serie di eventi ha posto ulteriormente sotto i riflettori la questione del social washing, una pratica in cui le aziende esternano affermazioni fuorvianti, esagerate o non comprovate sulla gestione del rischio sociale o delle questioni sociali.
Poiché i dati su questo tipo di gestione del rischio sono limitati, il social washing è probabilmente una pratica diffusa che spesso non viene controllata e compito degli imprenditori sarà sempre più quello di sollecitare una maggiore trasparenza per valutare se i rischi sociali siano gestiti in modo efficace.
Tutto ciò avrà sempre più ragion d’essere se la comunicazione sui social sarà rivolta a quel pubblico che si sta affacciando al mondo del lavoro.
Ci fornisce infatti un chiaro spaccato il secondo il report annuale di Buzzoole che intervistando un campione di età compresa tra i 18 e 24 anni, mostra che 2 (68%) ragazzi su 3 si ispirano agli influencer per le proprie “scelte d’acquisto”, non soltanto commerciali ma anche professionali, attraverso 7 distinti cluster, di cui i 3 principali si dividono in:
- Leader 28% - influencer competente nel proprio settore
- Narcisista 23% - influencer con molti follower
- Old fashion 17% - influencer preferito
Quindi quando si rifletterà sull’impostazione di una strategia di comunicazione del proprio brand, a maggior ragione se rivolta ad una platea di giovani professionisti, sarà determinante prestare molta attenzione a cosa, come e perché si comunica sui social dello studio legale, o del proprio profilo individuale, tenendo ben a mente questi dati e domandandosi quale sia il canale di comunicazione da prediligere.
Gli avvocati possono diventare dunque degli “influencer” anche per attrarre giovani talenti? Sì, ma non sarà sufficiente perché per poterli trattenere bisognerà prendersi cura di loro. Difatti l’attenzione e la sensibilità dei neo assunti rispetto al percorso lavorativo è molto chiara come spiega il Report di Bip Consulting “Nuove generazioni: nuove organizzazioni”, 2022:
- Il 57% prevede di rimanere nella stessa realtà professionale ma non di mantenere lo stesso ruolo nei successivi due anni;
- Il 64% spera di crescere, di approfondire e di espandere le proprie competenze continuando un percorso di carriera concreto;
- Il 43% desidera imparare a crescere tramite la dinamica di team;
- Il 37% dall’insegnamento impartito dalle figure più senior.
Lavorare come giovane può essere un’esperienza estremamente piacevole ma anche estremamente faticosa. I giovani adulti si trovano spesso a confrontarsi con la responsabilità della carriera, privi di un’esperienza significativa nel mondo del lavoro e lo scopo di un forte legame di mentoring è quello di fornir loro l'opportunità di mettere in pratica il loro potenziale, attingendo all'esperienza dei più anziani per trarne vantaggio.
La formazione è vissuta quindi come parte integrante del percorso di crescita e aumenta il bisogno di imparare un mestiere e di comprendere come svolgere la propria attività.
Lo studio legale avrà il compito di diventare sempre più il luogo di lavoro per continuare ad apprendere e formarsi, luogo in cui si impara concretamente e che porti i giovani verso il mondo del lavoro trasformandosi da meta conclusiva di un percorso formativo a ponte necessario per completare la preparazione dei futuri professionisti.
Solo percorrendo questa direttrice lo studio non sarà più uno space ma un “place” a cui voler appartenere.