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Ogni anno si festeggia il Pride Month, il mese per eccellenza dedicato all’uguaglianza, diversità e inclusività. Si tratta di un momento di grande festa e forte unione tra la comunità LGBTQIA+ e uno degli appuntamenti fissi a livello di marketing per moltissimi brand e studi legali
In questo contesto, come progettare e implementare campagne il più autentiche possibile, fedeli ai propri valori e alla propria visione, portando al contempo rispetto ad un mese chiave per la creazione di un mondo veramente equo per tutti, indipendentemente dalla propria identità di genere ed orientamento sessuale?
ll desiderio di inclusività è ogni giorno sempre più forte per le persone provenienti da tutto il mondo e appartenenti a tutte le generazioni e il mese di giugno è il momento perfetto per celebrare la propria identità e trovare la propria voce.
Il nuovo rapporto LGBT+ Inclusion @ Work di Deloitte Global esplora le esperienze di oltre 5.400 intervistati LGBT+ in 13 paesi attraverso la lente dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere. Rivela che la maggior parte degli intervistati si sente a proprio agio fuori dall’ambiente lavorativo, ma meno della metà si sente confidente a parlare del proprio orientamento sessuale o identità di genere con tutti sul posto di lavoro.
La rilevanza socio-culturale di questo mese deve essere motivo di riflessione per aziende e studi legali, ispirandoli tutto l’anno a “fare sempre di più” in termini di inclusività. Sebbene il supporto di moltissimi brand e studi legali sia genuino e del tutto disinteressato dal punto di vista economico, altrettanti marchi possono incorrere nel cosiddetto rainbow washing cioè sfruttare l’occasione al fine di incrementare i profitti ed intercettare un numero ancora più ampio di consumatori.
La linea di demarcazione tra sostenere la battaglia della comunità LGBTQIA+ e strumentalizzare la potenza della causa è estremamente sottile e il rischio è di perdere la credibilità del brand per avere implementato e comunicato attività superficiali, poco attente e di conseguenza potenzialmente controproducenti dal punto di vista mediatico. Questo può avvenire solo mettendo in campo strategie per un vero brand activism, fuori dalla retorica e dalle campagne marketing. Ci sono, sono tante e si dispiegano a più livelli. In comune hanno il fatto che prima che allo sbandieramento verso l’esterno devono essere interiorizzate e strutturate all’interno delle dinamiche aziendali e di studio.
Possiamo individuare alcune buone azioni in ambito di comunicazione per scongiurare il più possibile il rainbow washing, la più semplice ed efficace … essere autentici! Non è scontato suggerire agli studi legali e alle aziende che il fattore n.1 per questa tipologia di campagna di comunicazione è l’autenticità.
Un’altra considerazione è che occorre prestare attenzione all’inclusività 365 giorni l’anno e sul lungo termine: i messaggi che si sceglie di comunicare devono essere celebrativi e senza scopo di lucro, volti a sottolineare la necessità di normalizzare la diversità.
Per questo motivo, devono essere incorporati nelle proprie campagne nel corso di tutto l’anno, non limitati temporalmente al mese di giugno o ad altri specifici momenti nel corso dell’anno.
Tutti gli stakeholder dai dipendenti ai clienti ai fornitori sono sempre più attenti alla responsabilità sociale delle aziende e degli studi legai: un sincero e costante impegno nei confronti della causa e un rifiuto di concessioni puramente simboliche consentiranno di ottenere la fiducia e fidelizzare i membri della comunità LGBTQIA+ e i loro alleati.
Un buon modo per dare maggiore autorevolezza alle campagne e sensibilizzare un maggiore numero di persone è costruire delle sinergie con enti, associazioni e personalità attive ogni giorno nella lotta a favore dei diritti. La selezione di questi partner deve essere accurata e minuziosa.
Esistono anche casi di “epic fail” in ambito DE&I…sbagliare è umano… (ricordiamo il caso Guido Barilla nel 2013 durante un intervista a La Zanzara) ma è importante essere aperti alle critiche, imparare dai propri errori e migliorare di volta in volta il proprio approccio quando si parla di inclusività e diversità (ad oggi il Gruppo Barilla è Best Places to Work for LGBTQ+ Equality da 8 anni consecutivi).
Parlare di diversity e inclusion è come percorrere in questo mese una leggera discesa: nessuno sforzo per andare avanti solo un minimo di attenzione a non incappare in qualche intralcio. Parlare di diversity e inclusion con coerenza e curiosità invece è molto più complicato. Ci sono pochi dubbi che una corretta implementazione delle DE&I practice sia sempre più percepito dal management delle aziende e degli studi legali come elemento non surrogabile di innovazione e competitività. L’inclusione delle diversità assolve a due scopi che ricapitolano la missione della maggior parte delle aziende e studi legali: il primo riguarda la retention dei talenti e la valorizzazione del capitale umano, il secondo l’ampliamento del mercato e la capacità di risposte rapide a bisogni continuamente diversi.
L’inclusione è una scelta: richiede riflessione, visione e azione. Oggi la domanda non è tanto se attuare o meno politiche per l’inclusione, ma cosa serve per farle funzionare davvero.