***
1. ADR e transazione fiscale
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (“ADR”) si reggono spesso sul pilastro della transazione fiscale.
I caratteri tipici degli ADR, quali la possibilità di “trascinamento” dei creditori dissenzienti e la presenza di un’omologa giudiziale, ne fanno uno strumento di gestione della crisi particolarmente efficace in situazioni di rilevante complessità, e tali situazioni sono spesso connotate da indebitamento tributario e contributivo.
In quest’ottica, già la Legge Fallimentare, con le modifiche introdotte nel 2006 (art. 182 ter, comma 5), contemplava la possibilità che, nell’ambito degli ADR (oltre che nell’ambito concordatario), potesse essere proposta una transazione fiscale avente ad oggetto il pagamento parziale o anche dilazionato del debito tributario e contributivo. In quella prima fase, il perfezionamento della transazione esigeva l’adesione del creditore pubblico.
2. Impostazione originaria del cram down (convenienza rispetto allo scenario liquidatorio)
Con una modifica alla Legge Fallimentare introdotta dalla L. n. 159/2020, e poi ripresa nel Codice della Crisi (art. 63, comma 2 bis, nel testo vigente prima del Correttivo Ter), la transazione fiscale ha toccato il punto di maggiore efficacia e incisività nell’ambito degli ADR (come diremo in seguito, tale incisività è stata poi limitata dal legislatore).
E cioè era stato previsto che il Tribunale potesse omologare gli ADR anche in mancanza di adesione alla proposta di transazione fiscale da parte del creditore erariale (cram down) a condizione che, tra l’altro, la transazione risultasse conveniente per l’Erario rispetto all’alternativa liquidatoria (anche sulla base delle risultanze della relazione di un professionista indipendente).
Il giudizio di cram down si esauriva nella comparazione con lo scenario liquidatorio, in termini di convenienza per l’Erario.
Nella relazione accompagnatoria al Codice della Crisi si legge che questo regime aveva la finalità “di superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi” (laddove, ai fini della decisione sull’adesione, gli Uffici tendevano a riferirsi a soglie percentuali non previste dalla legge).
3. Abuso del cram down e intervento del legislatore (introduzione e inasprimento delle soglie percentuali)
Il cram down, nel periodo in cui poteva essere disposto sulla base della comparazione con l’alternativa liquidatoria, ha consentito operazioni di successo sotto il profilo del salvataggio aziendale e della miglior tutela possibile delle ragioni erariali.
Nel contempo, si sono verificati dei casi di abuso (che hanno destato particolare attenzione), laddove la proposta di transazione fiscale è stata presentata da talune imprese in un momento in cui il passivo era già stato largamente estinto, fatta eccezione per il debito erariale, l’attivo era pressoché esaurito e l’apporto di finanza esterna anche in misura minima risultava comunque sufficiente a sostenere il giudizio di convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria.
Il legislatore è quindi intervenuto con il fine di intercettare tali abusi, (i) dapprima con il D.L. n. 69/2023 (convertito con L. n. 103/2023) che, ai fini del cram down, ha imposto, tra l’altro, una percentuale minima di soddisfazione dell’erario pari al 30% dell’ammontare del credito (inclusi sanzioni e interessi), ovvero pari al 40% qualora il restante indebitamento della società sia inferiore ad un quarto dell’intero, (ii) e poi con il recentissimo D.Lgs. n. 136/2024 (Correttivo Ter al Codice dalla Crisi) che ha addirittura elevato le percentuali al 50% e 60% (questa volta al netto di sanzioni e interessi).
Sono dunque riemerse, questa volta per via legislativa, quelle percentuali che gli Uffici erano usi considerare e che lo stesso legislatore, in precedenza, era parso voler superare.
4. Adeguatezza o meno delle soglie percentuali
L’introduzione delle soglie percentuali è stata criticata da diverse parti, perlopiù con riferimento alla misura da ultimo prevista (50% e 60%), che risulta eccessiva.
Si deve osservare che ADR pacificamente non abusivi sotto il profilo della condotta della debitrice, che hanno assicurato indubbia utilità all’Erario e che è stato possibile perfezionare in passato, non sarebbero percorribili con le soglie attuali del 50% e 60%, né lo sarebbero stati con quelle del 30% e 40%.
Resta naturalmente la possibilità di adesione spontanea alla transazione fiscale da parte del creditore pubblico anche in assenza dei presupposti per il cram down, ma c’è da aspettarsi un sostanziale allineamento alle percentuali previste dal legislatore ai fini della decisione sull’adesione.
Vi è da chiedersi se il meccanismo delle soglie percentuali sia uno strumento adeguato di contrasto agli abusi, e se la convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria non fosse, di per sé sola, il criterio corretto e più tutelante per lo stesso Erario, in quanto idoneo a non disperdere possibilità di soddisfazione anche inferiori alle percentuali, ma migliorative rispetto alla liquidazione giudiziale, in assenza di abuso.
Potevano essere forse valutati adeguamenti al criterio della convenienza, ad esempio prevedendo che la valutazione comparativa dovesse riferirsi, non tanto al momento di formulazione della proposta di transazione fiscale (quando effettivamente la debitrice può avere già soddisfatto numerosi altri creditori ed esaurito una rilevante porzione dell’attivo), bensì al momento di emersione della crisi. Sarebbe stata una soluzione sicuramente complessa e molto meno automatica rispetto all’applicazione delle soglie percentuali, ma forse non del tutto impraticabile valorizzando il ruolo del professionista indipendente, ed eventualmente del commissario giudiziale, sotto il vaglio del Tribunale.