09 Febbraio 2021

Affrancamento del disavanzo di fusione e rischio di elusione (Cass 22 luglio 2020 n.15583)

GIOVANNI MERCANTI

Immagine dell'articolo: <span>Affrancamento del disavanzo di fusione e rischio di elusione (Cass 22 luglio 2020 n.15583)</span>

Abstract

Nella controversia oggetto della Sentenza, la Suprema Corte ha ritenuto elusive le operazioni compiute allo scopo di affrancare il disavanzo da fusione e dedurlo tramite ammortamento, previa sua imputazione alle immobilizzazioni immateriali. Sulla decisione sembra aver pesato principalmente la circostanza, piuttosto anomala, che l’assetto societario risultante al perfezionamento delle varie operazioni straordinarie sia sostanzialmente analogo a quello esistente anteriormente. A prescindere da ogni altra considerazione giuridica sulla porta e l’applicazione della norma antielusiva a regimi opzionali, giova rilevare che l’esecuzione di operazioni straordinarie normalmente non porta a risultati circolari, ma incide effettivamente su struttura e assetti organizzativi.

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Nella sentenza in rubrica la Cassazione Civile, Sez. 5, ha ritenuto indeducibile l’ammortamento del maggior valore attribuito in bilancio al marchio d’impresa, cui era stato imputato il disavanzo di fusione affrancato ai sensi dell’art. 6 D.L.vo 358/1997 e ciò in ragione dell’elusività delle operazioni da cui questo disavanzo originava.  

Dalla parte in fatto della Sentenza emerge che la complessa attività ritenuta elusiva è consistita in una serie di operazioni, poste in essere da più società, che possono essere riassunte come segue:

  1. due compravendite aventi ad oggetto le medesime azioni in una società residente in Italia (“Spa”);
  2. una fusione per incorporazione di Spa nella (seconda) società cessionaria, che ha originato un disavanzo da annullamento;
  3. l’imputazione del predetto disavanzo ad incremento del valore di un marchio, con affrancamento di detto maggior valore senza il pagamento di alcuna imposta sostitutiva ex art. 6 D.L.vo 358/1997;
  4. il successivo conferimento di un ramo d’azienda, composto tra l’altro dal rivalutato marchio, da parte della incorporante in favore di una società di nuova costituzione, interamente partecipata dalla prima.

L’assetto societario raggiunto ad esito delle cennate operazioni è stato ritenuto sostanzialmente uguale a quello esistente anteriormente.

Prima di preoccuparsi eccessivamente, è bene considerare che il caso riguarda il periodo d’imposta 2006 e una norma, il citato D.L.vo 358/1997, ormai abrogata, e che la decisione è stata assunta sulla base del non più vigente art. 37-bis DPR 600/1973. L’art. 6 D.L.vo 358/1997 riconosceva valenza fiscale ai maggiori valori iscritti in bilancio per effetto della imputazione dei disavanzi da annullamento o da concambio derivanti da operazioni di fusione o scissione di società, se assoggettati ad apposita imposta sostitutiva. In questo aspetto la abrogata disciplina era analoga a quella oggi prevista dagli artt. 172, co. 10-bis, e 173, co. 15-bis, TUIR. Tuttavia, in vigenza del D.L.vo 358/1997 esistevano tre fattispecie in cui i maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell’imputazione del disavanzo avevano pieno riconoscimento fiscale anche in assenza del pagamento dell’imposta sostitutiva. Senza necessità di descrivere le specifiche casistiche, è sufficiente rilevare che la Sentenza qui commentata si riferisce appunto a un caso in cui l’affrancamento è stato effettuato senza il pagamento dell’imposta sostitutiva.

Nonostante l’esatta fattispecie decisa in Sentenza non si possa più presentare, essendo oggi l’affrancamento sempre oneroso, le considerazioni espresse dalla Suprema Corte meritano qualche riflessione.

Chiariamo che l’illegittimità fiscale imputata al contribuente non è il mancato pagamento dell’imposta sostitutiva, essendo stato l’art. 6 applicato del tutto correttamente. L’illegittimità fiscale deriva dalla circostanza che il disavanzo di fusione è stato creato con una serie di atti e negozi concatenati tra loro (fusione per incorporazione, costituzione di nuova società, conferimento in quest’ultima del ramo d’azienda già dell’incorporata) ritenuti privi di valide ragioni economiche. Secondo l’Agenzia delle Entrate tutte le operazioni facevano parte di un unico disegno elusivo ed erano state effettuate all’unico scopo di rilevare un disavanzo da annullamento da imputarsi ad incremento dei valori dell’attivo (nel caso, il marchio d’impresa) e dedursi tramite ammortamento.

In questo contesto, la circostanza che l’affrancamento sia avvenuto gratuitamente ha un intuibile impatto. In prima istanza, verrebbe infatti da osservare che, se l’affrancamento fosse stato oneroso, il contribuente avrebbe semplicemente utilizzato un’opzione riconosciutagli da un regime opzionale che riconosce un trattamento fiscale di favore. Null’altro, dunque, che l’utilizzo di un’agevolazione fiscale prevista dalla legge e quindi non censurabile quale vantaggio indebito. Questa linea di ragionamento, tuttavia, non tiene in adeguata considerazione la circostanza che nel caso oggetto di giudizio l’affrancamento era stato gratuito, perché così disposto dalla legge, sicché non vi è ragione per considerarlo diversamente dalle ipotesi in cui il regime di favore è riconosciuto a pagamento.

Piuttosto, è maggiormente utile concentrarsi su quello che sembra essere la circostanza di maggior rilievo ai fini della decisione della Corte, vale a dire il convincimento che l’assetto societario raggiunto ad esito delle varie operazioni sia risultato sostanzialmente uguale a quello esistente anteriormente. La domanda che occorre farsi è dunque se sia lecito effettuare operazioni di fusione e scissione al solo scopo di utilizzare la facoltà di affrancare – onerosamente - i maggiori valori emergenti in bilancio ai sensi degli artt. 172, co. 10-bis, e 173, co. 15-bis, TUIR. Per rispondere, certo ci si dovrebbe interrogare sul concetto di indebito risparmio di imposta e sulle differenze tra il vecchio art. 37-bis e il nuovo l’art. 10-bis, che tra l’altro riconosce espressamente la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale. In termini più concreti, mi pare utile evidenziare che le operazioni straordinarie di fusione e scissione di per sé cambiano l’assetto societario ed incidono sull’ordine organizzativo e gestionale, producendo effetti extrafiscali significativi. Ciò che crea problemi è quindi l’insolita concatenazione di operazione che circolarmente riporti alla situazione iniziale, rendendo difficile addurre la sussistenza di valide ragioni diverse da quelle puramente fiscali.

 

Il presente contributo è stato redatto con la collaborazione della Dott.ssa Nicole Lettori, Dottore commercialista – Mercanti e Associati

 

 

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