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Questione
La L. n. 68/2015 (c.d. “Sugli ecoreati”) ha introdotto un meccanismo estintivo degli illeciti contravvenzionali previsti nel D.Lgs. 152/06 (Testo Unico Ambientale, da ora per brevità TUA) che siano privi di conseguenze dannose o potenzialmente dannose per l’ambiente.
Si tratta della c.d. oblazione amministrativa, prevista dagli artt. 318 bis e ss. TUA, la quale consente, previa ottemperanza della prescrizione impartita al trasgressore secondo modalità e tempi assegnati, di estinguere il reato mediante il pagamento di una somma di denaro pari ad un quarto della sanzione massima edittale. Verificati tali presupposti “Il pubblico ministero richiede l'archiviazione se la contravvenzione è estinta ai sensi del comma 1” (art. 318 septies TUA).
L’applicazione concreta dell’istituto ha posto agli operatori perplessità circa la legittimità costituzionale, rispetto agli artt. 3 e 25 Cost., dell’art. 318 octies[1] TUA, norma che ne limita l’operatività ai soli procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore della L. n. 68/2015 avvenuta il 29 maggio 2015.
Infatti il meccanismo normativo introdotto, escludendo l’applicazione della procedura estintiva amministrativa solo in ragione della pendenza del procedimento (circostanza accidentale non riconducibile al comportamento dell’interessato), comporta che identici fatti siano sanzionati penalmente ed altri no.
Per semplificare: una gestione illecita di rifiuti per la quale sia stato instaurato il procedimento penale il 30 maggio 2015 potrà essere definito con l’oblazione amministrativa in parola, con evidente vantaggio in termini di quantificazione della sanzione (1/4 del massimo), mentre analogo illecito con procedimento instaurato in data 28 maggio 2015, ove ve ne siano i presupposti, al più potrà essere definito con il rito dell’oblazione ordinaria di cui all’art. 162 bis c.p., con conseguente più svantaggiosa sanzione (1/2 del massimo).
Il precedente
Il caso in relazione al quale è stata sollevata la questione di legittimità alla Suprema Corte era relativo all’illecito di emissione in atmosfera in assenza della prescritta autorizzazione, commesso fino al novembre 2014 e definito in primo grado con sentenza di condanna del luglio 2016.
La Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso dedotto dalla difesa affermando che la questione di costituzionalità prospettata “difetti del requisito della rilevanza, poiché riguarda una norma che nel giudizio non è stata applicata ed alla quale, in ogni caso, non potrebbe essere data applicazione nel presente giudizio [...] [la] procedura prevista dal D.Lgs. 152/06 che, dunque, non può essere attivata dopo la chiusura delle indagini preliminari, fase già conclusasi al momento dell’entrata in vigore della legge, come riconosciuto dagli stessi ricorrenti, […] né potrebbe esserlo ora, neppure dopo una eventuale declaratoria di incostituzionalità” (Cass. Pen. Sez. 3 del 15.06.2017 n. 35581; Cass. Pen. Sez. VII del 19.12.2016 ordinanza n. 5571).
Le motivazioni addotte a sostegno del rigetto del motivo in realtà, da un lato, avvallano i prospettati dubbi di costituzionalità della norma, rispetto all’art. 3 Cost., e dall’altro, pongono in luce ulteriori criticità.
Sotto il primo aspetto, infatti, la Suprema Corte si limita ad escludere l’attivazione della procedura estintiva in ragione del fatto che, al momento dell’entrata in vigore della L. n. 68/2015 (avvenuta il 29.05.2015), la fase delle indagini preliminari fosse già conclusa. Quindi non già perché il procedimento penale, come dispone l’art. 318 octies TUA, fosse già pendente.
Non viene dunque valorizzata – come condizione ostativa per l’applicazione del meccanismo estintivo - la circostanza della instaurazione o meno del procedimento quanto piuttosto la circostanza della conclusione delle indagini preliminari.
Tale conclusione sembra essere il risultato di una soluzione interpretativa dell’art. 318 octies TUA idonea a superare la censura di violazione dell’art. 3 Cost. e quindi gli evidenziati profili di incostituzionalità della norma.
Spunti critici
Ciò nondimeno la focalizzazione dell’attenzione sulla circostanza della chiusura delle indagini preliminari non fa che sorgere ulteriori dubbi di costituzionalità questa volta con riferimento all’art. 318 septies TUA a mente del quale “Il pubblico ministero richiede l'archiviazione se la contravvenzione è estinta ai sensi del comma 1.”
La questione, in realtà, è stata già definita dalla Corte Costituzionale (Ord. n. 415 e 121 del 1998, n. 460 del 1999) in riferimento alle disposizioni che regolano la procedura estintiva delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro (D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758), procedura sulla falsariga della quale il meccanismo estintivo di cui agli artt. 318 bis TUA è stato a sua volta costruito. Inclusa la disposizione che ne esclude l’applicazione ai procedimenti già in corso.
Secondo la Corte la “nuova disciplina dell'estinzione del reato, contenuta nel capo II del decreto legislativo n. 758 del 1994, è costruita in guisa tale da operare solo all'interno della fase delle indagini preliminari, essendo finalizzata - in caso di adempimento alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza e di pagamento in via amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa - alla richiesta di archiviazione per estinzione del reato da parte del pubblico ministero (artt. 21-24) e, quindi, ad evitare l'esercizio dell'azione penale (v. ordinanza n. 121 del 1998)”.
A fronte di tale orientamento ermeneutico, tuttavia, ci si chiede se effettivamente l’applicazione del meccanismo estintivo delle contravvenzioni ambientali non possa trovare applicazione, attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata della norma ovvero attraverso una dichiarazione di incostituzionalità, anche laddove l’esercizio dell’azione penale sia avvenuto e tuttavia non sia stata pronunciata sentenza di primo grado.
Ed infatti la ratio della disciplina pare essere, alla stregua del meccanismo dettato dal D.Lgs. n. 758/1994, duplice:
a) assicurare l’effettività dell’osservanza delle misure di protezione dell’ambiente;
b) conseguire un effetto deflattivo del contenzioso penale.
Ebbene, laddove la contravvenzione ambientale non abbia prodotto conseguenze pregiudizievoli o queste siano state eliminate dall’interessato e ciò nondimeno il meccanismo estintivo in parola non sia stato attivato, questo ben potrebbe essere attuato ora per allora dal Giudice sino all’apertura del dibattimento. Ciò alla stregua di quanto previsto con riferimento ad altri procedimenti speciali previsti dal Codice di rito (istanza di applicazione pena su richiesta delle parti, abbreviato) o dal codice penale (oblazione penale), con conseguente soddisfacimento di entrambe le esigenze sottese all’istituto di cui agli artt. 318 bis e ss. TUA.
Del resto si evidenzia che anche l’oblazione amministrativa ambientale, alla stregua di quella in materia di sicurezza, deve ritenersi “presupposto procedimentale che condiziona lo sviluppo dell’azione penale sicché il Giudice non può pronunciare sentenza di condanna senza aver previamente verificato che all’imputato sia stato assicurato l’esercizio delle facoltà previste dalla disciplina in esame” (Corte Cost. Ord. 192 del 2003).
Se così è allora significa che vi sono casi nei quali le facoltà assegnate dalla disciplina in esame non sono state riconosciute e che di ciò si prende atto solo nel corso del giudizio di primo grado e, quindi, successivamente all’esercizio dell’azione penale.
La questione si presenta attuale atteso come in molti casi, pur ricorrendone le condizioni, l’istituto non viene attivato in fase di indagini preliminari e l’interessato si trova a confrontarsi con una contestazione di illecito contravvenzionale ambientale, per la prima volta, soltanto a processo instaurato, ad esempio, per il fatto di essere stata instaurata l’azione penale con richiesta di decreto penale di condanna.
[1] Le norme della presente parte non si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima parte.