* * *
Recentemente è stata confermata l’intenzione del colosso di Amazon di introdurre, nel prossimo futuro, per tutti i propri dipendenti nei magazzini, un braccialetto intelligente che, a detta della società, riuscirebbe a migliorare la prestazione lavorativa dei dipendenti grazie alla presenza di sensori e trasmettitori sugli scaffali in grado di monitorare le azioni svolte e di guidare il lavoratore negli spostamenti della merce, agevolando e riducendo i tempi di smistamento delle migliaia di prodotti presenti nei magazzini e minimizzando i possibili errori.
Al centro della polemica seguita all’annuncio della società, vi è il tema della possibilità o meno, per il datore di lavoro, di conoscere, attraverso i dati registrati da tale dispositivo, l’esatta posizione dei lavoratori. Una tale possibilità, da un punto di vista legale, configurerebbe, secondo la normativa nazionale vigente, un'ipotesi di controllo a distanza dei lavoratori, ammissibile solo nei casi previsti dall'art. 4 della L. 300/1970 (c.d. Statuto dei lavoratori) e successivi aggiornamenti (intervenuti, rispettivamente, con d.lgs. 151/2015 e con d.lgs. 185/2016).
Il nuovo testo dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, riformato recentemente, realizza un contemperamento tra due opposte esigenze: da un lato, il diritto dei lavoratori a non essere controllati in modo indiscriminato, costante e invasivo nell'esercizio dell'attività lavorativa, e, dall'altro, il necessario adeguamento della normativa all'evoluzione tecnologica degli ultimi anni, con la digitalizzazione delle imprese e della produzione industriale.
In particolare, il nuovo testo di legge ha stabilito innanzitutto il principio per il quale l'impiego di dispositivi da cui derivi la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori presuppone necessariamente un accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria (RSU) o dalle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) o, in mancanza, un'autorizzazione della sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro.
Tuttavia, il legislatore stesso ha previsto che il preventivo accordo sindacale o, in mancanza dello stesso, la preventiva autorizzazione della competente sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, non sia necessaria nel caso di “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” (art. 4, comma 2, L. n. 300/1970). La norma di Legge, però, non fornisce alcun tipo di elenco di strumenti che possano o debbano essere considerati tali. L’evoluzione tecnologica, dal canto suo, non consente più di distinguere agevolmente tra uno strumento di lavoro cosiddetto inerte (che non contenga al suo interno un impianto di controllo) e lo strumento che, invece, lo contenga. Al contrario, tutti gli strumenti tecnologici, chi più chi meno, possono potenzialmente diventare strumenti di controllo della prestazione. Basti pensare all’installazione di un software di controllo su un cellulare.
La soluzione interpretativa fornita dall’INL e il caso Amazon
A tal proposito l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha ritenuto di dover seguire una linea interpretativa decisamente restrittiva sulla definizione di “strumento di lavoro” ai fini dell’art. 4 dello statuto dei Lavoratori. Nella Circolare n. 4 del 2017, infatti, l’INL ha chiarito che l'utilizzo di dispositivi da cui possa derivare una forma di controllo a distanza dei lavoratori può avvenire senza previa autorizzazione - beneficiando quindi del regime di favore previsto dall'art. 4, comma 2, dello Statuto dei lavoratori citato supra - solo quando lo strumento in questione sia indispensabile per l'esercizio dell'attività lavorativa.
Nel caso di Amazon, qualora la società decidesse di introdurre il citato braccialetto, posto che pare difficilmente sostenibile che tale dispositivo debba considerarsi assolutamente indispensabile per l’esercizio dell’attività lavorativa, come richiesto dall’interpretazione fornita dall’INL, si dovrà valutare la finalità organizzativa e l’utilizzo che si intende fare in concreto di tale strumento. Del resto, la stessa tecnologia implementata nei braccialetti, che resta da verificare, potrà, forse, escludere il controllo sugli spostamenti del lavoratore.
Pertanto, bisognerà verificare se lo strumento fornito ai dipendenti sia necessario per svolgere l’attività lavorativa (come un tablet o un telefono) ovvero se potrà essere usato per il controllo, anche potenziale, del dipendente. Qualora dovesse rientrare nella prima categoria, ossia se la capacità tecnica del braccialetto non fosse in grado di individuare il dipendente e di controllarlo nell’attività lavorativa, quanto, piuttosto, di agevolare e velocizzare la ricerca nel magazzino, al pari degli scanner spesso presenti nei centri di smistamento, non servirebbe il preventivo accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato.
Si rammenta, da ultimo, che a prescindere dall’avvenuto accordo sindacale o meno (come nel caso degli “strumenti di lavoro”), come previsto dall’art. 4, comma 3 dello Statuto dei Lavoratori, i dati personali raccolti tramite controllo a distanza devono necessariamente essere trattati in linea con le prescrizioni in materia privacy di cui al D.Lgs 196/2003 e del recente Regolamento UE 2016/67 che vietano, ad esempio, controlli indiscriminati, continuativi o troppo invadenti.
In definitiva, in attesa che Amazon chiarisca effettivamente il concreto funzionamento dei famigerati braccialetti, così da poterne valutare l’eventuale compatibilità con la normativa giuslavoristica in materia di controlli a distanza e con la normativa a tutela della privacy, i costanti sviluppi tecnologici richiamano con urgenza una risposta che sia in grado di consentire una (difficile) giuridica armonizzazione fra l’ormai inarrestabile innovazione e la tutela della libertà del singolo lavoratore.