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Dal 31 gennaio il Regno Unito è ufficialmente fuori dall’Unione europea, ma gli importanti cambiamenti e novità per le imprese non saranno immediati. Per tutto il periodo transitorio, previsto fino al 31 dicembre 2020, nulla cambierà dal punto di vista degli scambi internazionali: continueranno a essere vigenti anche oltremanica sia la normativa che le procedure europee in materia di libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali.
Solo dopo il 31 dicembre 2020 il Regno Unito non sarà più parte del territorio doganale e fiscale dell'Unione europea e la circolazione delle merci tra Uk e Ue verrà, dunque, considerata commercio con un paese terzo, sia per la dogana che per l’Iva e le accise, salvo diverso nuovo accordo.
I prossimi 10 mesi saranno cruciali: in questo lungo periodo di intensi negoziati, i due blocchi dovranno raggiungere un accordo di libero scambio che dovrà entrare in vigore dal 1° gennaio 2021. Il prospettato accordo riguarderà numerosi settori, dal commercio alla difesa, ai programmi europei comuni e dovrà essere concluso durante il periodo transitorio.
Dal punto di vista delle relazioni commerciali Ue-Uk si auspica un accordo commerciale senza quote e a dazio zero.
Negli ultimi incontri, i due blocchi hanno spesso preso a modello il Ceta, accordo fra l’Unione europea e il Canada, vigente dal settembre 2017, il quale prevede un abbattimento totale dei dazi (al 90% sui prodotti agricoli), delle barriere non tariffarie, oltre che la liberalizzazione di numerosi servizi e degli appalti pubblici.Questo tipo di accordo “di ultima generazione”, infatti, non si limita a contenere o azzerare i dazi doganali, ma si estende, anche, ad ambiti quali il divieto di importare in Europa le carni bovine trattate con gli ormoni e gli Ogm. È proprio questo il punto su cui potrebbero sorgere numerosi problemi in fase di negoziati, date le recenti dichiarazioni del governo del Regno Unito di volersi allineare al mercato Usa, allontanando i prodotti inglesi dagli standard europei di tutela dei consumatori, di gran lunga più elevati di quelli statunitensi.
L’Unione europea ha ben presente queste problematiche e, infatti, di recente ha pubblicato un documento (Trade agreements – geography and trade intensity) nel quale evidenzia tutte le criticità che rendono impossibile ricalcare il modello CETA con il Regno Unito.
Inoltre, è importante valutare anche il fattore tempo: la difficoltà maggiore nel raggiungimento di un accordo di libero scambio fra sistemi giuridici molto distanti fra loro, come il Ceta, si trova senz’altro nella determinazione di un compromesso, in quel caso raggiunto solo dopo 7 anni. Tuttavia, la comune base di diritto europeo e la prospettiva per il Regno Unito di diventare il terzo partner commerciale dell’Ue (dopo Usa e Cina) lasciano sperare in tempi molto più ridotti nella questione Brexit, almeno per la conclusione di un accordo sulle tariffe doganali. Il vero nodo, come sempre, è soprattutto politico: se il Regno Unito intende diventare una piattaforma di accesso al mercato europeo, spingendo molto sulla leva fiscale per attrarre aziende (si parla di “Singapore sul Tamigi”) allora è evidente che l’Unione europea tenterà di dissuadere Londra, facendo leva sulle tariffe doganali e sull’effetto dirompente che potrebbero determinare sulle catene di produzione, per esempio nel settore auto o in quello chimico.
Sebbene si possa ben sperare in un vantaggioso accordo di partenariato con dazi a zero, lo scenario prospettato desta comunque alcune preoccupazioni: nel corso del periodo transitorio oltre il 50% delle imprese dovrà adattarsi alle procedure doganali e iniziare a calcolare e a gestire i maggiori costi derivanti dalla logistica, le certificazioni, eventuali contingenti e l’anticipazione dell’Iva all’importazione (oggi del tutto neutrale negli scambi tra Paesi Ue). A ciò si aggiunge il fatto che il Regno Unito è, per importanza economica, il quarto Paese di sbocco del made in Italy e, a oggi, circa 20.000 le aziende che operano stabilmente con partner inglesi e che non hanno nessuna esperienza in operazioni doganali.
Questa nuova realtà comporterà la necessità di nuovi equilibri sotto diversi aspetti, dalla contabilità aziendale, alle procedure interne fino alla formazione del personale. Considerare che spesso i prodotti europei hanno un componente realizzato nel Regno Unito (in molti settori industriali) che d’ora in poi dovrà essere monitorato, perché potrebbe determinare la perdita del trattamento preferenziale riconosciuto alle merci UE, grazie ai molti accordi di libero scambio. Altro timore viene poi dalle aziende agroalimentari che rischiano grandi perdite economiche: la consegna dei prodotti freschi potrebbe essere a rischio perché non compatibile con la tempistica delle nuove procedure e delle relative certificazioni.