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Introduzione
La certificazione di origine preferenziale è necessaria per i prodotti in esportazione, per assicurare loro, in fase di arrivo a destinazione nel Paese estero, un regime di dazio agevolato o dazio zero. Si tratta, dunque, di uno strumento essenziale per l’export e per la competitività dei prodotti italiani.
Per il 22 gennaio 2020 era previsto un profondo cambiamento all’interno di tale materia ovvero l’abbandono dei c.d. certificati previdimati, ossia quei documenti di origine preferenziale (Eur1, A.TR.) che la Dogana mette a disposizione di alcuni intermediari della logistica, consentendo una sensibile riduzione dei tempi ordinari di rilascio. La prassi di previdimazione consente di accelerare i tempi e di ridurre i costi delle operazioni doganali.
Il termine del 22 gennaio è già stato prorogato due volte per consentire l’adeguamento degli operatori e, da ultimo, a causa dell’emergenza Covid. Attualmente la nuova data prevista per l’abbandono dei certificati previdimati è il 21 luglio 2020 ma si parla già di un nuovo rinvio.
Il superamento del certificato e l’esportatore autorizzato
Tuttavia, i tempi del cambiamento stringono, anche perché i più recenti accordi di libero scambio sottoscritti dall’Unione europea (ad esempio con Canada e Corea del Sud) prevedono non soltanto il superamento del certificato documentale e la dematerializzazione dello stesso, ma soprattutto un sistema basato sulla certificazione di origine preferenziale incentrata sull’affidabilità dell’esportatore. Si deve transitare, pertanto, da un documento di accompagnamento dei beni esportati a una certificazione del soggetto che esporta, da un controllo sui beni a un controllo sulle imprese. Le aziende previamente “certificate” dalla Dogana potranno dichiarare l’origine preferenziale dei loro prodotti, direttamente sulla fattura di vendita, senza necessità di attestazioni rilasciate da soggetti pubblici, assicurandosi in tal modo un evidente risparmio di tempi e costi procedurali.
Tale “patente”, definita “esportatore autorizzato”, implica il superamento di un procedimento istruttorio da parte dell’Agenzia delle dogane, finalizzato alla verifica della conoscenza delle regole doganali fondamentali per determinare l’origine dei prodotti, con specifico riguardo ai beni interessati dalle procedure di export. Tale procedimento richiede all’impresa anche un sistema di gestione contabile in grado di identificare l’origine delle varie componenti impiegate nel processo produttivo, oltre alla formazione del personale interessato.
La ricerca di una soluzione condivisa
Lunedì 22 giugno 2020 l’Agenzia delle dogane ha invitato le associazioni di categoria più rappresentative del commercio estero a esprimere le proprie proposte per gestire la transizione nel nuovo sistema.
Molte le proposte pervenute e, tra le idee più interessanti, vi è stata quella di ridurre la platea dei soggetti cui affidare i certificati previdimati, riservando tale compito soltanto ai doganalisti e ai titolari di luogo approvato, purché già soggetti certificati AEO (operatore economico autorizzato): in tal modo questi soggetti svolgerebbero un’istruttoria preliminare, per conto delle Dogane, venendo incontro all’esigenza di mettere a disposizione in tempi rapidi la prova di origine.
Un’altra ipotesi al vaglio dell’Agenzia riguarda la possibilità di snellire le procedure per la concessione dello status di esportatore autorizzato. In tale prospettiva, si segnala la possibilità, da un lato, di individuare un set documentale essenziale, uniforme a livello nazionale, da mettere a disposizione delle Dogane, rimandando poi a una fase successiva la verifica della presenza dei requisiti, ivi compresi anche i controlli in azienda. Dall’altro, la possibilità di interpretare in maniera più estensiva il requisito della regolarità delle operazioni di esportazione, che spesso rappresenta un ostacolo per l’accesso allo status di esportatore autorizzato.
Conclusioni
Le piccole e medie imprese potrebbero subire forti rallentamenti nella loro attività, nel caso in cui la prassi vigente venisse definitivamente superata, senza avere individuato un’alternativa equivalente in termini di rapidità e semplificazione. In questa discussione occorre considerare anche la straordinarietà della fase economica attuale, in cui si osserva un calo di circa il 40% delle esportazioni e la difficoltà di molte imprese, che ancora gestiscono diverse attività in smart working, di avviare significativi cambiamenti, nel modo di gestire la contabilità e la tracciabilità dei componenti impiegati nella produzione.